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C’era un tempo, a Pian del Monte, un lago. La 
configurazione attuale del luogo, senz’ombra di dubbio, lascia ancora 
intravedere quale ne fosse la posizione e l’estensione. 
Lago appenninico, e quindi di modesta 
superficie, ma non di meno assai più esteso di quanti se ne possano oggi 
osservare in zona. 
S’era nel 1638, appena trascorsi gli anni della 
grande peste, e una pastorella di Groppo venne, come ogni maggio, a pascolare il 
gregge lungo le sponde erbose del lago che allora aveva un nome un poco lugubre: 
lago dei Monatti. 
Dal 1630 al 1632 la peste manzoniana aveva 
falciato a volontà nella Valtaro, e Tiedoli non aveva certamente avuto destino 
diverso dalle altre ville. Anzi furono tanti i morti che non si riusciva a 
trovare un numero sufficiente di vivi disposti a scavar fosse, vuoi per la 
fatica, ma ancor più per il timore d’appestarsi. 
Così venne affidato l’incarico a tre persone 
esperte, appunto i monatti di Parma, i quali avendo superato la malattia ne 
erano ormai immuni. Giravano lungo il giorno per i casolari con un basso e largo 
carro ch’essi stessi trainavano a mano e sul quale deponevano due file di 
cadaveri che poi seppellivano. 
Faticavano non poco a scavar buche sicché un 
giorno, scoperto il lago, trovarono più comodo gettarvi le salme, risparmiando 
di sotterrarle. E perché i paesani non scoprissero il malfatto, i monatti 
smuovevano un poco la terra, vi affondavano una croce,  vi scrivevano un nome, così i Tiedolesi 
pregavano per i loro morti senza sapere che invece si trovavano sul fondo del 
lago. 
Ma poiché anche a Tiedoli non si trovava, né si 
trova, diavolo in grado di fabbricar coperchi, un bel dì la cosa venne scoperta 
e i tre monatti, mani e piedi legati, gettati vivi nel fondo del lago che da 
quel giorno prese appunto il nome di Lago dei Monatti. 
Quando nel 1638 vi giunse la pastorella di 
Groppo, la peste era solo un ricordo e lei, appena dodicenne, nulla sapeva di 
quanto era accaduto. 
Ma a sera, con il sole che ormai se n’era andato 
oltre il monte Arsone, mentre sospingeva il solito capretto restio ad 
abbandonare il pascolo per rientrare, vide emergere dalle acque del lago un 
grande carro e tre persone che indossavano una specie di sajo, intente a 
caricare con fatica strani sacchi. 
Diceva uno dei tre:- Non ci hanno nemmeno 
pagati. Così noi li riportiamo. Toccherà loro sotterrarli. Ogni notte ne 
porteremo un carico e con quello la peste. 
La pastorella che aveva chiaramente inteso, 
tornata a cosa riferì ogni cosa al padre che l’apostrofò malamente:- Altre 
ragazze alla tua età vedono la Madonna o i Santi e tu invece vedi dei carri. Non 
farti sentire e vergognati! 
Ma quando il mattino seguente si seppe di quei 
cadaveri trovati alla chiesa, l’uomo richiamò la figlia e si fece ripetere il 
racconto, prestando stavolta maggiore attenzione. |  |  | 
 - Erano tre gli uomini che caricavano? E il 
carro era basso e largo? 
Le conferme della ragazza chiarivano ogni cosa. 
– I monatti. La peste! – trovò il tempo di dire e uscì. 
Scese dal prete, tutto gli raccontò, fecero 
bruciare gli involucri che contenevano i resti, poi di corsa al Borgo: bisognava 
parlare con il Governatore e impedire che nella notte seguente altre salme 
fossero condotte alla chiesa. Un ritorno della peste sarebbe stato 
disastroso. 
Ci volle del buono e del bello per convincere 
l’incredulo Governatore. Alla fine tuttavia ottennero il permesso di ritirare 
dal Castellano di Tiedoli un buon quantitativo di polvere da sparo per portare a 
termine il loro piano: far saltare la strada che dal lago portava al 
Groppo. 
Essa correva, e corre tuttora, sul fianco di un 
roccione a strapiombo su un sottostante pianoro: si trattava dell’unica via che 
poteva permettere il transito dal lago al resto della frazione. Furono 
approntate le opportune cavità nella roccia, sistemata la polvere e la miccia ed 
infine l’esplosione ridusse il passaggio a poco più di un sentiero: il largo 
carro dei Monatti non sarebbe potuto passare. 
La notte stessa i Tiedolesi, in attento ascolto, 
udirono in lontananza il rumore caratteristico del carro che s’avvicinava, poi 
un gran tonfo e il mattino seguente videro nel pianoro sottostante il carro, i 
tre Monatti e sei corpi avviluppati in vecchi stracci. Nessuno si avvicinò mai 
per toccare ed il luogo venne chiamato “Conca sola”, per via che per anni 
nessuno osò andarvi. 
Ed in ricordo, quasi a impedire altri viaggi, 
venne eretta poco prima del dirupo una cappella che ancor oggi si può 
vedere. 
Si recarono i Tiedolesi, poi, con pale e picchi 
sulle sponde del lago ed iniziarono a prosciugarlo gettandovi terra e massi: 
volevano ricoprire definitivamente i loro morti e cancellare il ricordo del 
Monatti. 
Tre mesi di faticoso lavoro ci vollero, ma alla 
fine ogni traccia del lago sparì. E d’agosto si fece una gran festa che sempre 
si ripete da oltre trecent’anni. 
Dei Monatti, da allora, nessuna notizia, ma 
qualcuno afferma che nelle notti di maggio, specie quando le piogge primaverili 
tentano di riformare il lago, si sentono ancora rumori sordi come di gente 
intenta a caricare pesi sopra un carro. Pochi lo credono, ma i Tiedolesi si son 
ben guardati dall’allargare la strada che stretta e pericolosa come un tempo, va 
dal Groppo alla Cappella. 
E se da quella v’affacciate sul baratro e vedete 
in fondo le case di Concassola(così si chiama oggi la località), non chiedete 
perché mai si conservi un passaggio tanto angusto e pericoloso. Vi sentireste 
rispondere che le auto passano…..Ciò che non vi verrà detto, invece, è che loro 
delle auto interessa poco o nulla, l’importante per loro è sapere che per quella 
strada, così come è e come intendono mantenerla, il largo carro del Monatti non 
potrà mai più passare. | 
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