Il confine tra il territorio di Borgotaro e quello di 
Valmozzola è segnato, da sempre, da un vorticoso torrentello che scorre veloce 
tra quelle aride terre.
E’ il Testanello, che proprio nel punto in cui confluisce nel 
Taro forma, con le sue acque, una splendida cascata di circa quindici metri.
Quel luogo, da tempo immemorabile, è detto “satu d’la bèla 
dona” a ricordo di un fatto accaduto chissà quando.
Secoli addietro abitava in quella zona una giovane di 
straordinaria bellezza. Tanto era bella e da tutti ammirata che i suoi genitori 
avevano deciso di tenerla chiusa in casa, per sottrarla agli sguardi e ai 
desideri dei giovanotti locali, nella speranza forse di poterla destinare a 
qualche signorotto dei dintorni.
Usciva solamente, ma sempre accompagnata, per recarsi a Messa 
e qualche rara volta per attingere acqua alla fonte.
Fu proprio qui che un giorno le capitò d’incontrare un 
giovane. Di aspetto normale, gentile nei tratti e nei gesti, ma cieco.
Costui aveva sentito parlare della bellezza della giovane, ma 
mai aveva potuto ammirala né avvicinarla, così era curioso di ascoltarne la voce 
e giudicarne il sentimento, dato che a quei tempi oltre all’aspetto esteriore 
molta importanza veniva data alle virtù interiori, il che oggi par non s’usi più 
fare.
La giovane rimase colpita dai modi garbati del giovanotto 
tanto che da quel giorno, ogni volta che lo vedeva nei pressi della fonte, si 
recava  a far provvista d’acqua. La cosa non era sfuggita all’attenzione dei 
genitori che non vedevano però alcun pericolo in quei brevi incontri, certi che 
una ragazza tanto ammirata e corteggiata non si sarebbe davvero “impegnata” con 
un cieco.
Un giorno la madre recandosi alla fonte con la figlia e 
trovandovi il giovane, lo invitò ad entrare in casa.
Come da questo si potesse giungere a ben altro, nessuno con 
precisione lo seppe, né mai lo si potrà sapere. Accadde comunque che, un bel 
giorno, tra la meraviglia generale, i due si sposarono.
Per la giovane, ormai donna, significò la conquista della 
libertà. Finalmente poté uscire a suo piacimento, intrattenersi con altri, 
ricevere complimenti, farsi delle amiche…Le parve, almeno per alcuni mesi, di 
rinascere, poi piano piano cominciò ad accorgersi che la condizione del marito 
le impediva di provare alcune soddisfazioni.
Lei avrebbe voluto, durante le sagre paesane, partecipare 
alle danze, ma a lui non piaceva la confusione e tanto meno trovarsi tra gente 
allegra e doversi accontentare di rimanere seduto in un angolo.
Ben presto la donna s’accorse di non poterne più e cominciò a 
pensare al marito come ad un peso che le impediva di godersi la vita.
Così un giorno, la meschina, meditò di sbarazzarsene.
Un mattino s’accostò al marito e con la scusa di una forte 
emicrania gli chiese di accompagnarla fuori.
- Andiamo giù verso il fiume – gli disse.
Piano piano giunsero là dove il Testanello, con un ultimo 
salto, va a morire nel Taro. Stavano proprio ad un passo dall’alto dirupo e 
mentre lui era tutto teso a cogliere sensazioni nuove, ella lo invitò ad 
avanzare: - Andiamo pure più avanti. Voglio vedere meglio la cascata.
Voleva che fosse lui stesso a cadere nel vuoto, quasi ad 
avere meno scrupoli.
Ma lui estasiato disse: - Aspetta un momento. E’ tanto bello 
stare qui. Ci torneremo spesso.
In quel momento alla donna venne alla mente la noia di tante 
ore trascorse con il marito e decise così di affrettare la conclusione 
dell’infame disegno. Ma nel momento stesso in cui questa, piena di rabbia, si 
lanciava verso il marito per sospingerlo nel baratro, lui si scansò e la 
malvagia, con un urlo straziante, finì sfracellata tra le rocce sottostanti.
Da allora quel luogo è detto “Satu d’la bèla dona”.

 
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