venerdì 26 luglio 2013

SU IN VALTARO-Testimonianze ed episodi della lotta partigiana.







SU IN VALTARO
Con questa pubblicazione, noi dell'Associazione Emmanueli, volevamo mettere in evidenza che anche nel corso di una guerra dura e tragica come quella di resistenza, ci furono episodi che misero in evidenza la parte "buona" delle persone, la loro umanità, quasi a dimostrare che la "pietà" non era del tutto morta.
La pubblicazione, uscita nel 1978, e da anni esaurita, conteneva sette episodi, quattro dei quali con la mia firma, accompagnati da disegni di Mario Previ

Tagliatelle... alla tedesca
Il terzo
Il mazzo di fiori
Un bagno...di sudore.

1 - Tagliatelle ...alla tedesca


I cinque partigiani scendevano allegri il pendio. La sera precedente il vecchio Molinari, che solitamente portava notizie dal Borgo, aveva affermato che giù in paese c'era calma e, a parte, rivolto al figlio Nello aveva detto: - Domani la mamma vuol preparare le tagliatelle di castagnaccio, vi aspettiamo. Puoi portare anche qualcun altro.

Così i cinque partigiani, armi in mano, stavano scendendo verso il Borgo.

In testa camminava Nello, lo seguivano i fratelli Zulù, Arabo, Gino e il cognato Veloce. Un'ora di cammino a piedi distava il paese, ma a vent'anni i passi sono svelti e la strada scema con rapidità.

Già si scorgeva la Madonnina e l'Ospedale e...dopo un poggio: ecco Borgotaro. Era sempre uno spettacolo vederlo dall'alto, ma Nello non lasciò agli altri il tempo di soffermarsi e da uomo pratico qual era disse: - E' bene che ci dividiamo, arriveremo a casa uno alla volta. Per primo entrerà Zulù, quindi Arabo, Gino e in fine Veloce: io seguirò per ultimo.

Zulù s'avviò subito distanziando gli altri. Scese per via Ronchi, attraversò Piazza Farnese e infilò Via Corridoni. Nella strada non c'era anima viva e in poco tempo fu all'altezza del portone n.60.

Entrò, salì velocemente i due gradini e aprì la porta di casa Molinari. La mano di Zulù rimase bloccata sulla maniglia. Tutto poteva aspettarsi meno che vedersi davanti due tedeschi seduti al tavolo.

La situazione era, a dir poco, imbarazzante. Zulù aveva il vantaggio di possedere un'arma, i tedeschi le avevano deposte a qualche metro di distanza.

Ruppe il silenzio l'involontario responsabile di ciò che stava accadendo: Bergamo. Era costui parente della famiglia Molinari, un tipo strano, orfano in giovane età, allevato dai Molinari. Aveva, in seguito, girato alcuni paesi europei; conosceva diverse lingue, compreso il tedesco, e aveva per questo familiarizzato, durante quel periodo, con i tedeschi che presidiavano la stazione ferroviaria di Borgotaro. Proprio quella sera, dopo aver incontrato i due militari, aveva loro detto: - Facciamo un salto da mia zia a mangiare qualcosa, poi usciamo.

Ora, seduto al tavolo, stava invitando Zulù ad entrare.

S'era appena accomodato, senza abbandonare l'arma, Zulù, quando s'udì di nuovo aprire la porta: era Arabo. Si ripeté la scena precedente, con il solo mutamento che Arabo, pur sorpreso, notò Zulù seduto accanto ai tedeschi e anch'egli si accostò al tavolo.

Mamma Molinari, superato lo spavento, abbandonò un attimo il fornello e chiese al nuovo arrivato: - Non viene Nello? -Sì- rispose Arabo - sarà qui da un momento all'altro. E rivolto a Bergamo: - Dì a quei due che arriveranno altre persone.

Nel volger di pochi minuti, infatti, arrivarono anche gli altri.

Mamma Molinari scodellò le tagliatelle. Servì per primi i tedeschi, i quali si guardarono bene dall'iniziare a mangiare. - Sono educati, i miei figli di solito, appena hanno il piatto pronto, non aspettano davvero gli altri -, pensò. Ma, riempiti tutti i piatti, le forchette dei tedeschi rimasero inerti sul tavolo.

Nello capì: avevano paura. Prese una forchetta, l'infilò nel piatto di un tedesco, ne trasse delle tagliatelle e le ingoiò con rapidità. Una risata generale sciolse il ghiaccio e tosto tutti, tedeschi compresi, si diedero di buona lena a trangugiare l'appetitoso piatto.

Sul tavolo stava un fiasco di quel vino da noi detto "vinello" o "vinetta". Disse Nello al padre, che ancora non aveva parlato: - Vai a prendere un fiasco di quelli buoni che ci risolleviamo un poco.

Papà Molinari s'alzò, contento forse di potersi muovere un poco e tornò con il fiasco. Versò da bere ai due tedeschi e disse: - Vino buono! Bere! - e si fermò alle loro spalle con il fiasco in mano, già pregustando i commenti. I tedeschi fecero finta di non capire e Bergamo dovette ripetere l'invito nella loro lingua.

I due si guardarono l'un l'altro, distolsero lo sguardo, quindi posarono gli occhi sui commensali. Ancora un gelido silenzio scese sulla strana tavolata. Cosa mai potevano aspettarsi quei due da una famiglia che dopo averli invitati, faceva trovare al tavolo cinque partigiani armati? Qual era il significato di tutto ciò?

Papà Molinari stava ancora alle spalle dei tedeschi con il fiasco in mano.

- Pà - disse Nello in dialetto, - vèrsa chi!. Appena n'ebbe di quel vino vuotò d'un fiato il bicchiere. Allora i due tedeschi lo imitarono e tra un sacco di "Jahvol" ripresero con gli altri a mangiare le tagliatelle.

La cena proseguì senza altri inconvenienti. S'accese una discussione e a Bergamo, quasi come pena per la sua leggerezza, toccò di riportare or all'uno ora all'altro, nelle rispettive lingue, i discorsi che s'infittivano man mano che il livello di un secondo fiasco andava scemando.

Solamente vi fu un poco di tensione allorché uno dei due tedeschi, dopo aver mandato a quel paese il Fhürer, prese la sua arma e fece l'atto di spezzarla sul ginocchio. Intervennero i Molinari pregandolo di desistere da un atto che avrebbe potuto provocare gravi conseguenze.

Alla fine i tedeschi s'alzarono, raccattarono le loro armi e dissero: - Domani noi portare zucchero e olio per ringraziare. Si salutarono ed ognuno andò per la sua strada, dalla parte che il destino, a volte bizzarro, aveva loro assegnato, forse da tempo. Domani sarebbero stati nemici, le armi e non le tagliatelle avrebbero prevalso.

Il giorno seguente i due tedeschi non si fecero vivi. Due giorni dopo Bergamo fece il solito giro alla stazione. Parlò con qualche tedesco e seppe che i due amici di quella serata non si trovavano più a Borgotaro....

P.S. Nello Molinari è Nello dal Zainu, gli altri i fratelli e il cognato Aldo Feci

Da: Giacomo Bernardi, Su in Valtaro, Ass. Emmanueli, 1978. Disegni di Mario Previ

2 - Il ...terzo



I corpi vennero prelevati dalle scale che erano servite da barella e adagiati ai piedi del muro di cinta del cimitero di Baselica.
Era sera, non c'era più tempo per una sistemazione definitiva; quelli della frazione avrebbero provveduto, in seguito, come altre volte, alle casse, alla funzione religiosa e al seppellimento.
Le salme erano due: un partigiano e un tedesco.

Dal gruppo di partigiani, una ventina circa, si levò una voce che dopo aver pronunciato quattro nomi, disse: - Vi fermerete voi quattro. Due veglieranno i morti e due staranno di pattuglia per tutta la notte. Domattina rientrerete. Fate attenzione, al comando si pensa che dopo i fatti di oggi possa esserci una puntata dei tedeschi. Ci vedremo domattina.
Sarà stata la colpa dell'oscurità, della stanchezza, o d'altro, ma quando il gruppetto di partigiani si fu allontanato, i rimasti s'accorsero d'essere in tre anziché in quattro.
- Fa lo stesso,- disse Scambio - ci arrangeremo in tre. Due di pattuglia e uno qui con i morti.
- Io non me la sento di restare solo vicino al cimitero - interloquì un partigiano - Preferisco andare di pattuglia.
- Se non avete niente in contrario - tagliò corto Scambio - mi fermerò io.
L'accordo fu raggiunto. Le due salme vennero accuratamente coperte con dei panni militari. Scambio dispiegò una terza coperta, se l'avvolse a foggia di tabarro e si sedette appoggiando le spalle al muro del cimitero.
Gli altri due lanciarono un breve saluto e sparirono nel bosco di castagni.
La notte non era fredda, si era alle soglie dell'estate, anche se dai vicini boschi giungeva un'aria frizzante che aiutava Scambio a restare sveglio.
Intorno il silenzio più assoluto, solo qualche grido d'uccello notturno e più tardi uno scricchiolare di foglie, forse provocato dall'andare di un riccio.
Due volte Scambio maneggiò per arrotolare una sigaretta, osservò il lento procedere delle stelle, poi la stanchezza ebbe il sopravvento: si allungò sull'erba, si coprì completamente con la coperta e s'addormentò.
A vent'anni, tanti ne contava Scambio, il sonno è di solito profondo. Quanto tempo abbia dormito non lo si può dire.
Si risvegliò disturbato da alcune voci. Il torpore del dormiveglia, quando ancora non si distingue tra sogno e realtà, non gli permise di alzarsi subito.
Gli giunse però distinta una voce che diceva: - Ma reverendo dovevano essere due i morti, invece sono tre.

A questo punto fu chiaro a Scambio che si trattava dei frazionisti incaricati di provvedere alle due salme.
Sollevò quindi la coperta che l'avvolgeva interamente e...fece appena in tempo a vedere, all'incerto chiarore dell'alba, due uomini e un prete che se la davano a gambe giù per la stradicciola, spaventati dall'improvviso agitarsi del terzo...cadavere.
Scambio si alzò, s'inoltrò nel bosco in cerca dei due amici di pattuglia. Lanciò qualche richiamo, finché ottenne risposta.
Poco dopo i tre s'incontarono. Scambio raccontò l'accaduto.
- Si sta facendo giorno, - disse uno dei tre - dobbiamo rientrare, più tardi quelli della frazione torneranno.
La proposta fu accolta e i tre s'incamminarono.

Testimonianza resami da Severino Costa(Scambio)

Da: Giacomo Bernardi, Su in Valtaro, Ass. Emmanueli, 1978. Disegni di Mario Previ

 



3 - Il mazzo di fiori





Vorrei essere un fiore
e tu venissi piano,
a cogliermi, e spiccarmi
e mi tenessi in mano.




Nel giugno del 1944, le formazioni partigiane della Valtaro avevano portato a compimento il loro piano ambizioso: la liberazione dell'intera valle.

Nel maggio precedente c'era stato, nella zona, un vasto rastrellamento da parte dei tedeschi, ma le forze partigiane si erano sottratte, come d'incanto, al nemico subendo poche perdite, per riformarsi subito dopo decise più che mai a riprendere la lotta.
Anzi si può dire che l'azione dei tedeschi avesse rafforzato l'idea della Resistenza, tanto che, nel mese successivo, nuovi giovani si erano arruolati nelle formazioni partigiane contribuendo a renderle più forti.
Già sul finire del maggio, appena passata l'orda tedesca, le formazioni erano passate al contrattacco.
Il 29 maggio venivano infatti disarmati i presidi militari tedeschi posti nei caselli ferroviari n.61 e 62 sulla linea Parma-La Spezia.
Il 5 giugno veniva attaccato e disarmato il presidio fascista della stazione ferroviaria di Borgotaro.
Alcuni giorni dopo era la volta dei presidi situati al passo del Bocco e alle Pezze di Borgotaro.
Il 10 giugno, nei pressi del ponte sull'Occhiello(tra Pontolo e Baselica) veniva assalita una corriera di militi fascisti.
Veniva nel frattempo occupata la stazione ferroviaria di Ostia, sabotato il ponte "parabolico" e danneggiato un lungo tratto di binario sotto la galleria del Borgallone, tra Ostia e Borgotaro.
Il giorno 14 veniva liberata Bedonia e il giorno successivo Borgotaro.

15 giugno 1944: Borgotaro è nelle mani delle formazioni partigiane. Alcuni distaccamenti rimangono sui passi a presidiare la valle interamente liberata, ma a Borgotaro c'è notevole confusione.
Presso l'albergo Appennino sono riuniti i capi. Fuori sostano i partigiani ancora increduli per quanto hanno saputo osare: è il primo giorno di relativa calma, che segue ad una settimana di scontri violenti. Amici che da tempo non si vedono, si salutano e si scambiano notizie, impressioni...aria di festa, insomma.
All'improvviso, proveniente da chissà dove, un'auto militare s'accosta all'albergo. Sono tedeschi! Non fanno nemmeno in tempo ad estrarre le armi che dieci, venti mani li bloccano e li portano all'interno dell'albergo. L'automezzo viene nascosto.
Tra la notevole, comprensibile confusione, qualcuno si organizza: se un automezzo ha forzato il blocco, altri ne potrebbero giungere.
Gruppi di partigiani, armi in pugno, risalgono via Piave.
Un gruppo con mitraglia s'apposta presso l'edificio scolastico, altri nel giardino della casa di fronte.
Ed ecco spuntare, su dalla curva in fondo a via Piave, un secondo automezzo tedesco. Giunto all'altezza del palazzo delle scuole viene crivellato da raffiche di colpi. L'automezzo procede ondeggiando fino a giungere comunque davanti all'albergo Appennino.
Anche qui un fitto crepitio di armi automatiche: chi spara dal giardino, chi dall'albergo, chi dal viale.
L'auto tedesca, nonostante tutto, procede e finisce la sua corsa all'inizio del ponte di San Rocco.
Terminata la confusione ci s'accorge che un partigiano è rimasto a terra presso un platano. Morto!
E' Remo Dallara(Esonero), anni 19: il primo caduto del Libero Territorio del Taro.
A sera parte un camion con sopra le salme di Remo e di un tedesco. Percorre la strada Borgotaro-Berceto e giunto all'altezza di Baselica, si ferma.
Alcuni partigiani depongono le salme sopra due scale e cominciano una lenta e triste marcia verso il cimitero di Baselica.

16(o 17) giugno: nella chiesa di Baselica si stanno svolgendo le esequie.
In chiesa giacciono le due salme: Don Alessio Tozzi ha appena terminato l'omelia, quand'ecco una donna precipitarsi all'interno e gridare: - Stanno arrivando i tedeschi!
Farsi trovare con un partigiano, sia pure morto, era cosa assi pericolosa a quei tempi; la presenza, poi, di un tedesco ucciso dai partigiani complicava maledettamente le cose.
Già il caratteristico ticchettio degli stivaletti preannunciava imminente l'apparire dei tedeschi...
In chiesa calava il più assoluto silenzio...s'apre la porta e nello stesso momento un mazzo di fiori, l'unico, vola dalla salma di Esonero e va a posarsi, in qualche modo, sulla salma del tedesco.
Un ufficiale tedesco avanza deciso verso l'altare: si ferma presso la salma di Esonero, guarda quindi la salma del connazionale con quel mazzo di fiori mal collocato, ma che dimostra pur sempre la profonda umanità delle persone lì presenti.
L'ufficiale si guarda in giro...scruta quella gente, solo il pianto di mamma Dallara rompe il silenzio. A lei in quel momento non interessa altro che Remo, il figlio non ancora ventenne che giace lì davanti. Forse non aspetta altro che andare con lui...
L'ufficiale tedesco è ancora lì, immobile davanti alle salme, è ancora indeciso...in fondo alla chiesa, armi in pugno, sta una decina di tedeschi in attesa di un cenno.
All'improvviso l'ufficiale si china, toglie dalla salma del tedesco la piastrina di riconoscimento, l'intasca, quindi retrocede di due passi e saluta militarmente con un energico battito degli stivali.
Compie un rapido dietro-front, ripercorre deciso l'intera navata ed esce seguito dagli altri tedeschi.
Don Alessio Tozzi riprendeva le esequie...

Testimonianza resami dalla famiglia Dallara.

Giacomo Bernardi, Su in Valtaro, Ass. Emmanueli, 1978. Disegni di Mario Previ


4 - Un bagno... di sudore


Nell'estate del '44, il distaccamento Dallara della 1a Brigata Julia si trovava dislocato in località Agnidano nei pressi di Baselica.
Si componeva di circa cinquanta partigiani sotto il comando di Gomel.
I collegamenti con il comando di Brigata, situato sull'opposto versante della valle, nei pressi di Caffaraccia, venivano assicurati con l'ausilio di staffette le quali, spesso, dovevano attraversrare zone "calde" con possibilità di incontri poco piacevoli.
Un giorno di quell'estate, presso il comando di Brigata, si trovava il partigiano Formentino ch'era lì giunto con un messaggio inviato da Gomel, Comandante del distaccamento.
Attendeva la risposta da parte del Comandante Dragotte per poi ripartire. Verso sera venne chiamato e il comandante gli disse: "Ecco la risposta. Per questa notte però ti fermerai, già ho dato l'ordine di provvedere: partirai domattina".
Formentino fu contento delle disposizioni del Capo: poteva così trascorrere una serata con gli amici che da tempo non vedeva. C'erano fatti da raccontare, qualche coro e molte risate...
Più tardi, quando si coricò, mentalmente ripassò la strada che avrebbe percorso il mattino seguente. Si trattava di andare ad Agnidano; bisognava scendere in fondo valle, attraversare la linea ferroviaria Parma-La Spezia, guadare il Taro e risalire quindi l'opposto versante ove correva la rotabile Borgotaro-Berceto. Due orette di strada, in tempi normali, ma la parte mediana del percorso, quella in corrispondenza del fiume, andava affrontata con grande cautela. Lungo la linea ferroviaria e la strada Borgotaro-Berceto che correvano parallele e vicine al Taro, sia pure su sponde opposte, era facile imbattersi in pattuglie nemiche e poi c'era il Taro da guadare...un tratto completamente scoperto, facilemente controllabile....

*

Verso le sette del mattino Formentino si mise in marcia. La giornata si prospettava bella: dal Molinatico baluginava però un sole che lasciava prevedere caldo e afa.
Per ripidi pendii, or tra boschi or per radure, scese Formentino e si trovò presto su un poggio dal quale poteva osservare la sottostante ferrovia.
Ora doveva discostarsi leggermente dalla direzione di marcia, allungando, sia pur di poco, il percorso perché presso l'entrata della sottostante galleria vi era il casello ferroviario n.60 presidiato notte e giorno da una decina di tedeschi. Costoro si erano sempre limitati alla sorveglianza della ferrovia e mai si erano spinti all'interno della zona partigiana. Per non farsi sorprendere da possibili imboscate notturne, i tedeschi avevano perimetrato una zona attorno al casello con un filo di ferro, al quale avevano appeso barattoli, bottiglie, lamiere e altri aggeggi capaci di produrre rumori al minimo contatto, in modo da richiamare la loro attenzione.
Formentino deviò, quindi, per qualche centinaio di metri dalla naturale direzione di marcia, attraversò la ferrovia e rapidamente si precipitò verso il Taro, il cui greto era poco lontano.
Ora si sentiva più sicuro tra i fitti cespugli di salici che lì nascono spontanei, numerosi e alti. Avanzava con fatica, ma si sentiva tranquillo; lo "stein" gli serviva per farsi strada in quel groviglio di rami.
Sentiva ormai lo scorrere delle acque del Taro quando, all'improvviso, oltrepassato un ennesimo e aggrovigliato cespuglione, si trovò allo scoperto...con un tedesco di fronte che gli stava puntando l'arma.
Alle spalle di quello, quattro o cinque tedeschi, completamente nudi, stavano bagnandosi nel fiume.
Erano quelli del casello ferroviario!
I due si fissarono a lungo negli occhi. Entrambi avevano l'arma puntata.
In acqua i tedeschi si erano irrigiditi in attesa di una decisione ch'era nelle mani di quei due che si fronteggiavano.
"Non so dove presi il coraggio, - mi dirà Formentino - ma avevo capito che solo la calma poteva darmi ua possibilità di salvezza".
Dall'acqua giunse una frase, forse un ordine.
Il tedesco voltò le spalle al partigiano e depositò l'arma a terra.
Formentino guadagnò rapidamente la riva del fiume, giuntovi osservò che la situazione non era cambiata: i tedeschi in acqua erano sempre immobili, l'altro sempre fermo con l'arma a terra. Volle strafare: con l'arma sotto un braccio tenne a bada i tedeschi e con la mano libera cominciò a togliersi gli scarponi. Quindi lentamente guadò il fiume.
Al di là l'attendeva un tratto di erta abbastanza ripido con alberi e cespugli.
Giunto a riva fu però preso dal panico, corse velocemente per una decina di metri e si gettò a terra.
Tornò quindi a riguardare verso il fiume.
S'accorse, non senza un sospiro di sollievo, che la paura non stava solamente da una parte...vide infatti che i tedeschi, vestiti sottobraccio, stavano abbandonando velocemente il fiume e risalivano verso il casello ferroviario.
Formentino s'infilò gli scarponi, s'attardò un poco per recuperare fiato, calma e coraggio, e riprese a salire.
Giunse ai piedi della scarpata della rotabile Borgotaro-Berceto. Si trattava dell'ultimo ostacolo; al di là si sarebbe sentito tranquillo.
S'acquattò in attento ascolto prima di compiere l'ultimo balzo. Gli parve d'udire un lontano rumore, forse era solo la paura cagionata dalla tensione precedente.
Rimase comunque fermo. Dopo alcuni minuti gli giunse chiaro e inequivocabile il rombo d'un motore...passò un automezzo...poco dopo un altro e poi un terzo ancora.
Formentino non si permise di alzare la testa, ma ormai era sicuro: si trattava di una colonna. Un automezzo si fermò. Udì delle voci. Non erano vicinissime, forse un centinaio di metri, forse meno, sì da giungere comunque al suo orecchio: erano tedeschi.
Si spostò piano piano e s'addentrò tra ortiche e cespugli di rosa canina che ricoprivano un tombino stradale. La faccia, le mani non ne potevano più, ma il pericolo era troppo grande.
Dalla strada si poteva vedere il casello ferroviario ed sarebbe quindi stato possibile uno scambio di notizie tra i due gruppi. Avrebbe potuto trovarsi bloccato su due fronti...
Ciò non avvenne e s'udì finalmente l'avvio di un motore.
Formentino uscì allo scoperto, attraversò la strada e s'incamminò verso la montagna.
Il viso recava i segni delle ortiche, gli spini non si contavano; ma in alto si vedeva ormai il campanile di Baselica e da là giungevano lenti i rintocchi del mezzogiorno.
Si fermò all'ombra di un albero, tolse gli spini più superficiali e ripartì. Era in ritardo, ma all'ora di pranzo avrebbe avuto qualcosa da raccontare.

(Testimonianza resami da Ercole Bazzani - Formentino)
Da: Giacomo Bernardi, Su in Valtaro, Ass. Emmanueli, 1978. Disegni di Mario Previ






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