lunedì 29 luglio 2013

Leggende: Al can d' San Dum'n'gu

Al Can d' San Dum'n'gu

E come fu creata, fu repleta
sì la sua mente di viva vertute

che, ne la madre, lei fece profeta
.
Dante, Par. XII (59-61)


Avevo diciassette anni quando, con la mia famiglia, mi trasferii da Via Nervesa alla nuova abitazione di via Battisti.
La mia cameretta, tramite un balconcino, dava direttamente sulla via, proprio di fronte alla lunga fiancata della chiesa di San Domenico, un tempo convento dei Padri Domenicani (Ordo Dominicanorum).

Non era passato che qualche mese e già in più d’un’occasione mi era accaduto, nel pieno della notte, di essere svegliato dal tintinnare di un campanellino, di quelli che s’appendono al collare dei cani.
Che potesse passare qualche cane randagio non era strano a quei tempi, strano, invece, che il suono fosse sempre lo stesso e che il fenomeno si ripetesse ad una cert’ora della notte.

Una sera, mentre stavo rincasando verso la mezzanotte, mi capitò di percepire il solito tinnire del campanellino.
Finalmente potrò scoprire il cane”, pensai. Ma, nonostante mi voltassi a destra e a manca, non riuscivo a scorgere nulla. Eppure il suono si stava piano piano attenuando come stesse allontanandosi da me.

T’ l’è s’ntì?”, disse una voce che mi fece sobbalzare.
Guardai verso l’alto e vidi la “Ravouna vecia” affacciata alla finestra del primo piano.
”, risposi.
J’èin i so dì e la so ura”, aggiunse.
Davvero? Ma cos’era?”, chiesi.
L’è al can d’ San Dum’n’gu”, rispose.
Ma io non ho visto nessun cane”.
E chi l’ha mai vistu; u s’ sèinta e basta, car’al me bèlu”, sentenziò con un tono che non ammetteva dubbi.
Non era facile incontrarla durante il giorno. Usciva raramente, così cercai di approfittare dell’occasione e chiesi: “Perché ha detto che sono i suoi giorni e la sua ora?

P’erché t’la sèinti d’utuvr’, ch’ l’è al mèiz’ d’la Madona dal Ruzariu e p’r l’ fest’ di santi ch’ gh’è in San Dum’n’gu, e sèimpr’ versu mezanot’. Mi vo a letu”. E chiuse la finestra.

M’aveva preso un po’ di paura e mi vergognai al pensiero che fino a quel momento era stata la presenza della vecchia a tenermi tranquillo. Infilai il portone per salire le scale di corsa, come mai m’era capitato.
Da quella sera, ogni volta che l’episodio si ripeteva, mi piaceva sentirmi depositario di un segreto che la “Ravouna”, ormai scomparsa, m’aveva confidato. Soltanto una volta sbirciai dal balcone per controllare la presenza del cane, ma non mi riuscì di vederlo. Cominciai a chiedermi quale legame potesse esistere tra un cane e San Domenico.

Una prima risposta mi venne dalla scuola.
Proprio quell’anno era in programma lo studio del Paradiso e quando il professor Ranocchia commentò, con straordinaria bravura, il canto XII che Dante aveva voluto dedicare a San Domenico, il legame tra il cane e il Santo cominciò a trovare ampie spiegazioni.

Infatti, in nota al testo dantesco, si leggeva che la beata Giovanna, sua madre, raccontava di una visione che aveva avuto, prima del parto, in cui vide se stessa dare alla luce un piccolo cane dal mantello bianco e nero che teneva in bocca una torcia fiammeggiante con la quale incendiava il mondo, facendo conoscere la Parola Divina. L’accenno al cane mi riempì di soddisfazione: finalmente avevo trovato un fondamento al mio segreto.

Non so descrivervi la mia meraviglia, quando il professore aggiunse che i seguaci dell’ordine religioso fondato da San Domenico, in latino Ordo Dominicanorum, (Domini cani = cani del Signore) si distingueranno per la loro azione di Padri Predicatori che, come cani fedeli, porteranno per il mondo la parola della fede. Accennò inoltre all’abito talare bianco e nero, indossato dai Domenicani, i colori stessi del cane apparso in visione alla beata Giovanna.

Ormai la storia “dal can d’ San Dum’n’gu” aveva ben più d’un fondamento e gli amici non avrebbero più riso ai miei racconti.
Ma in testa avevo sempre le parole della “Ravouna”, quando aveva fatto riferimento alla ricorrenza di certi santi presenti nella chiesa di San Domenico.

Così, in più occasioni, cercai di ricavare notizie dall’attenta osservazione delle tele appese alle pareti della chiesa, senza trovare risposte adeguate.
D’altra parte, a quei tempi, non esistevano quelle pubblicazioni che oggi sono in grado di guidare un giovane alla scoperta delle opere d’arte presenti in Borgotaro. Così dovetti abbandonare la ricerca.

Tuttavia mi riuscì di scoprire l’immagine del cane, con la solita fiaccola in bocca, in tre punti diversi della chiesa: scolpito su una lapide sepolcrale dell’antica Confraternita del Santo Rosario, datata 1623; in un grande affresco situato sulla volta della sacrestia, dove è riprodotto col manto bianco e nero, ai piedi di San Domenico; in un dipinto che si trova appoggiato sulla cimasa dell’altare di stucco dell’attuale sacrestia.

Chissà perché, soltanto in età avanzata, mi capitò di scoprire gli otto ovali situati alle pareti del coro. In ognuno viene rappresentato un Santo che indossa il manto bianco e nero, proprio dei Domenicani.
Mi è bastato scorrere una guida artistica e scoprire che si trattava di Santi Domenicani: Pietro Martire, Raimondo di Penyafort, Ambrogio da Siena, Alberto Magno, Antonino Vescovo, Luigi Bertran, Tommaso d’Aquino e naturalmente Domenico, rappresentato con il giglio.

Credo che i “i Santi ch’ gh’è in San Dum’n’gu”, quelli citati dalla “Ravouna”, siano questi.

Ma ormai, da molti anni, non abito più in quella via e non mi è possibile affermare se nelle giornate in cui il calendario ricorda quei Santi, “al can d’ San Dum’n’gu” faccia tinnire, come un tempo, il suo campanellino.

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