E
come fu creata, fu repleta
sì la sua mente di viva vertute
che, ne la madre, lei fece profeta.
Dante, Par. XII (59-61)
sì la sua mente di viva vertute
che, ne la madre, lei fece profeta.
Dante, Par. XII (59-61)
Avevo diciassette anni quando, con la mia famiglia, mi trasferii
da Via Nervesa alla nuova abitazione di via Battisti.
La mia cameretta, tramite un balconcino, dava direttamente sulla via, proprio di fronte alla lunga fiancata della chiesa di San Domenico, un tempo convento dei Padri Domenicani (Ordo Dominicanorum).
La mia cameretta, tramite un balconcino, dava direttamente sulla via, proprio di fronte alla lunga fiancata della chiesa di San Domenico, un tempo convento dei Padri Domenicani (Ordo Dominicanorum).
Non era
passato che qualche mese e già in più d’un’occasione mi era accaduto, nel pieno
della notte, di essere svegliato dal tintinnare di un campanellino, di quelli
che s’appendono al collare dei cani.
Che potesse passare qualche cane randagio non era strano a quei tempi, strano, invece, che il suono fosse sempre lo stesso e che il fenomeno si ripetesse ad una cert’ora della notte.
Che potesse passare qualche cane randagio non era strano a quei tempi, strano, invece, che il suono fosse sempre lo stesso e che il fenomeno si ripetesse ad una cert’ora della notte.
Una sera,
mentre stavo rincasando verso la mezzanotte, mi capitò di percepire il solito
tinnire del campanellino.
“Finalmente potrò scoprire il cane”, pensai. Ma, nonostante mi voltassi a destra e a manca, non riuscivo a scorgere nulla. Eppure il suono si stava piano piano attenuando come stesse allontanandosi da me.
“Finalmente potrò scoprire il cane”, pensai. Ma, nonostante mi voltassi a destra e a manca, non riuscivo a scorgere nulla. Eppure il suono si stava piano piano attenuando come stesse allontanandosi da me.
“T’ l’è
s’ntì?”, disse una voce che mi fece sobbalzare.
Guardai verso l’alto e vidi la “Ravouna vecia” affacciata alla finestra del primo piano.
“Sì”, risposi.
“J’èin i so dì e la so ura”, aggiunse.
“Davvero? Ma cos’era?”, chiesi.
“L’è al can d’ San Dum’n’gu”, rispose.
“Ma io non ho visto nessun cane”.
“E chi l’ha mai vistu; u s’ sèinta e basta, car’al me bèlu”, sentenziò con un tono che non ammetteva dubbi.
Non era facile incontrarla durante il giorno. Usciva raramente, così cercai di approfittare dell’occasione e chiesi: “Perché ha detto che sono i suoi giorni e la sua ora?”
Guardai verso l’alto e vidi la “Ravouna vecia” affacciata alla finestra del primo piano.
“Sì”, risposi.
“J’èin i so dì e la so ura”, aggiunse.
“Davvero? Ma cos’era?”, chiesi.
“L’è al can d’ San Dum’n’gu”, rispose.
“Ma io non ho visto nessun cane”.
“E chi l’ha mai vistu; u s’ sèinta e basta, car’al me bèlu”, sentenziò con un tono che non ammetteva dubbi.
Non era facile incontrarla durante il giorno. Usciva raramente, così cercai di approfittare dell’occasione e chiesi: “Perché ha detto che sono i suoi giorni e la sua ora?”
“P’erché
t’la sèinti d’utuvr’, ch’ l’è al mèiz’ d’la Madona dal Ruzariu e p’r l’ fest’ di
santi ch’ gh’è in San Dum’n’gu, e sèimpr’ versu mezanot’. Mi vo a letu”. E
chiuse la finestra.
M’aveva preso
un po’ di paura e mi vergognai al pensiero che fino a quel momento era
stata la presenza della vecchia a
tenermi tranquillo. Infilai il portone per salire le scale di corsa, come mai
m’era capitato.
Da quella sera, ogni volta che l’episodio si ripeteva, mi piaceva sentirmi depositario di un segreto che la “Ravouna”, ormai scomparsa, m’aveva confidato. Soltanto una volta sbirciai dal balcone per controllare la presenza del cane, ma non mi riuscì di vederlo. Cominciai a chiedermi quale legame potesse esistere tra un cane e San Domenico.
Da quella sera, ogni volta che l’episodio si ripeteva, mi piaceva sentirmi depositario di un segreto che la “Ravouna”, ormai scomparsa, m’aveva confidato. Soltanto una volta sbirciai dal balcone per controllare la presenza del cane, ma non mi riuscì di vederlo. Cominciai a chiedermi quale legame potesse esistere tra un cane e San Domenico.
Una prima
risposta mi venne dalla scuola.
Proprio quell’anno era in programma lo studio del Paradiso e quando il professor Ranocchia commentò, con straordinaria bravura, il canto XII che Dante aveva voluto dedicare a San Domenico, il legame tra il cane e il Santo cominciò a trovare ampie spiegazioni.
Proprio quell’anno era in programma lo studio del Paradiso e quando il professor Ranocchia commentò, con straordinaria bravura, il canto XII che Dante aveva voluto dedicare a San Domenico, il legame tra il cane e il Santo cominciò a trovare ampie spiegazioni.
Infatti, in
nota al testo dantesco, si leggeva che la beata Giovanna, sua madre, raccontava
di una visione che aveva avuto, prima del parto, in cui vide se stessa dare alla
luce un piccolo cane dal mantello bianco e nero che teneva in bocca una torcia
fiammeggiante con la quale incendiava il mondo, facendo conoscere la Parola
Divina. L’accenno al cane mi riempì di soddisfazione: finalmente avevo trovato
un fondamento al mio segreto.
Non so
descrivervi la mia meraviglia, quando il professore aggiunse che i seguaci
dell’ordine religioso fondato da San Domenico, in latino Ordo
Dominicanorum, (Domini cani = cani del Signore) si distingueranno per la
loro azione di Padri Predicatori che,
come cani fedeli, porteranno per il mondo la parola della fede. Accennò inoltre
all’abito talare bianco e nero, indossato dai Domenicani, i colori stessi del
cane apparso in visione alla beata Giovanna.
Ormai la
storia “dal can d’ San Dum’n’gu” aveva ben più d’un fondamento e gli
amici non avrebbero più riso ai miei racconti.
Ma in testa avevo sempre le parole della “Ravouna”, quando aveva fatto riferimento alla ricorrenza di certi santi presenti nella chiesa di San Domenico.
Ma in testa avevo sempre le parole della “Ravouna”, quando aveva fatto riferimento alla ricorrenza di certi santi presenti nella chiesa di San Domenico.
Così, in più
occasioni, cercai di ricavare notizie dall’attenta osservazione delle tele
appese alle pareti della chiesa, senza trovare risposte adeguate.
D’altra parte, a quei tempi, non esistevano quelle pubblicazioni che oggi sono in grado di guidare un giovane alla scoperta delle opere d’arte presenti in Borgotaro. Così dovetti abbandonare la ricerca.
D’altra parte, a quei tempi, non esistevano quelle pubblicazioni che oggi sono in grado di guidare un giovane alla scoperta delle opere d’arte presenti in Borgotaro. Così dovetti abbandonare la ricerca.
Tuttavia mi riuscì di scoprire l’immagine del cane, con la
solita fiaccola in bocca, in tre punti diversi della chiesa: scolpito su una
lapide sepolcrale dell’antica Confraternita del Santo Rosario, datata 1623; in un grande affresco situato
sulla volta della sacrestia, dove è riprodotto col manto bianco e nero, ai piedi
di San Domenico; in un dipinto che si
trova appoggiato sulla cimasa dell’altare di stucco dell’attuale sacrestia.
Chissà perché, soltanto in età avanzata, mi capitò di scoprire
gli otto ovali situati alle pareti del coro. In ognuno viene rappresentato un
Santo che indossa il manto bianco e nero, proprio dei Domenicani.
Mi è bastato scorrere una guida artistica e scoprire che si trattava di Santi Domenicani: Pietro Martire, Raimondo di Penyafort, Ambrogio da Siena, Alberto Magno, Antonino Vescovo, Luigi Bertran, Tommaso d’Aquino e naturalmente Domenico, rappresentato con il giglio.
Mi è bastato scorrere una guida artistica e scoprire che si trattava di Santi Domenicani: Pietro Martire, Raimondo di Penyafort, Ambrogio da Siena, Alberto Magno, Antonino Vescovo, Luigi Bertran, Tommaso d’Aquino e naturalmente Domenico, rappresentato con il giglio.
Credo che i “i Santi ch’ gh’è in San Dum’n’gu”, quelli
citati dalla “Ravouna”, siano questi.
Ma ormai, da molti anni, non abito più in quella via e non mi è
possibile affermare se nelle giornate in cui il calendario ricorda quei Santi,
“al can d’ San Dum’n’gu” faccia tinnire, come un tempo, il suo
campanellino.
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