lunedì 2 settembre 2013

SCRITTI: 2^ - Fine. Le Comunalie della Valditaro

2-LE COMUNALIE DI VALDITARO
 
 
ASPETTI SOCIO-ECONOMICI


Le condizioni naturali sono alla base della organizzazione insediativo -territoriale della Valtaro, tuttavia nel tempo a queste si sono aggiunte, e in molti casi sovrapposte, particolari condizioni di carattere sociale ed economico che hanno finito per determinare profondi cambiamenti anche sul piano degli insediamenti e dello stesso paesaggio agrario.

I diversi modi di sfruttamento delle risorse del bosco, l’evoluzione delle tecniche agrarie, l’emigrazione e le consistenti rimesse dall’estero, il recente fenomeno dell’abbandono della montagna, per citarne alcune, sono variabili che hanno contribuito a determinare conseguenti cambiamenti.

Nel corso del medioevo avanzato, superati i secoli caratterizzati da guerre, carestie ed epidemie, le popolazioni riacquistavano fiducia, le città si rivitalizzavano, si riorganizzavano, si espandevano.

Al contado spettava il non facile compito di far fronte ai bisogni alimentari sorti in conseguenza dell’aumento demografico delle città.

Anche in Valtaro le popolazioni furono così indotte alla conquista di ogni possibile palmo di terra alle selve che un tempo dovevano giungere a lambire il corso del fiume Taro.

La scarsità di aree pianeggianti dovette infatti spingere verso l’alto gli uomini e intorno ai primi decenni del nuovo millennio si andarono formando, e in qualche caso consolidando, gli abitati rurali per la maggior parte corrispondenti agli odierni agglomerati di Costerbosa, Valdena, Camminata di San Vincenzo, Costatasi, Ca’ di Grossi, Buzzò, Mamponeto, Groppo. Ai quali in processo di tempo altri se ne aggiunsero.

Essi erano collocati ad altitudini comprese tra i 500 e 650 metri, lungo una linea tuttora visibile, che quasi veniva a dividere la parte coltivata che stava al di sotto(di proprietà individuale), da quella a bosco(di proprietà comune) che si estendeva immediatamente a monte.

Per secoli i beni comuni vennero goduti dai frazionisti a titolo puramente individuale, nel senso che le singole persone vi trovarono un tornaconto nell’uso del diritto di legnatico e pascolo.

Unica forma diversa di sfruttamento documentata fu quella della vendita alla Repubblica Genovese di legname per costruzione di navi e remi, anche se sconosciuti ci sono i risvolti economici dell’operazione e non sappiamo se, e in qual modo, i frazionisti ne ricevettero vantaggio.

In una zona a quasi esclusiva economia agricola che per la distanza dalla pianura e dalle città doveva trovare in loco il modo di risolvere i problemi della propria sussistenza, divenne ben presto importante lo sfruttamento delle proprietà comuni al fine di integrare il reddito agrario che doveva essere di poco conto ove si considerino l’esiguità delle terre coltivabili e la natura sassosa e scoscesa delle stesse.

Così in Valtaro si cominciarono ad usare gli alti pascoli in modo meno saltuario ed episodico e a conquistare alcuni siti di altura per coltivazioni particolari: avena, segala e poi patate, qui introdotte e coltivate fin dal 1545, per merito del Colonnello Guglielmo Power, Governatore di Borgotaro.1

Si crearono così, quasi in ogni frazione, dei caratteristici insediamenti stagionali d’altura composti di numerose caselle in pietra a secco con copertura in paglia di segala, somiglianti forse a quelle degli antichi Liguri.

Qui le famiglie risiedevano dall’inizio dell’estate fino ai primi freddi, di solito il 23 novembre, come dice un antico proverbio: “P’r Santa Catrèina la vaca a la casèina2 ”: si faceva legna, si pascolavano le bestie, si raccoglievano funghi e altri prodotti del sottobosco, si lavorava il latte ottenendone burro e formaggio, si coltivavano farro, spelta, avena, segala e patate.

I pascoli naturali permettevano il mantenimento di un buon numero di animali, senza per questo destinare a prato i terreni posti più a valle, vicini alle abitazioni, che venivano così utilizzati unicamente per cereali od altro.

Tra questi nuclei di caselle, tuttora presenti anche se ormai poco abitati, si possono ricordare: Vighini(850 m), per quei di Pontolo; Valvenera(960 m) per quei di Valdena; Nola(1080 m) per quei di Rovinaglia e Lago Pavé(1020) per quei di Buzzò.

L’esistenza di tali nuclei è documentata fin dal secolo XVI. Tra la documentazione relativa alla già ricordata vicenda delle liti accadute nel corso del XVII secolo, per la risoluzione della quale venne richiesto l’arbitrato della Repubblica di Venezia, esistono disegni che fissano la posizione di queste caselle ed anche le loro caratteristiche architettoniche. Particolare quest’ultimo assai importante ove si volesse, come sarebbe auspicabile, ricostruire, riattare tali villaggi stagionali situati in posizioni di particolare interesse paesaggistico.

Con l’avvento del Regno d’Italia, e la conseguente nuova regolamentazione, le singole Comunalie della Valtaro venivano amministrate da apposite Commissioni i cui membri erano annualmente eletti a scrutinio segreto, dai Consigli Comunali competenti.

In un’epoca in cui l’elettorato attivo dei Comuni di Borgotaro e Albareto superava di poco il centinaio di iscritti, e alle cariche comunali si succedevano quasi sempre le stesse persone, fu di grande importanza la nomina di queste Commissioni Amministratrici che se da una parte assicuravano un più corretto utilizzo della proprietà, dall’altra abituavano i frazionisti all’impegno civico, alla democrazia partecipata.

Si deve forse a questo impegno, nel quale finiva pian piano per essere coinvolta buona parte degli uomini della frazione, se cominciò a farsi strada, sia pure lentamente, una “coscienza di frazione” che alle esigenze ed agli interessi individuali seppe affiancare anche quelli dell’intera collettività.

Verso la fine dell’ottocento, allorché vennero approvate le prime leggi riguardanti l’istruzione obbligatoria, molte frazioni avranno il privilegio della presenza sul posto di una scuola proprio perché la “comunalia” del luogo si sarà addossata la spesa del locale, del riscaldamento e, a volte, anche del contributo nella spesa per i maestri che allora erano nominati e pagati dai Comuni.

Tuttavia nella seconda metà dell’ottocento, l’attività agricola su cui si basava l’economia della zona, non presentava miglioramenti di sorta, ferma com’era a tecniche colturali molto arretrate. Accanto a queste coesistevano, e si evidenzieranno sempre più in seguito, la bassa remunerazione del lavoro, la carenza di capitali, le insufficienti condizioni di commercializzazione, la scarsa iniziativa imprenditoriale.

L’intera valle era inoltre isolata, priva com’era di una viabilità decente in grado di metterla in contatto con il vicino Mar Ligure e con Parma. Così qualsiasi prodotto agricolo, del bosco o del sottobosco non poteva trovare sfogo alcuno in altri mercati.

Scriveva Rufino Mussi3: “Il lato più infelice di questo Circondario è la viabilità nella quale è paragonabile alle più derelitte e sconosciute zone della Basilicata. Questo Circondario[…] fu lasciato dai cessati governi segregato[…]non avendo mai posseduto, in tanta estensione di territorio, una sola strada carrozzabile. Tutti i trasporti si operano perciò a schiena di mulo”.

E ancora: “Il prezzo di trasporto a tonnellate dei prodotti è al minimo di lire 40 da Borgotaro a Spezia. Questo prezzo supera i noli dall’America all’Europa. Maggiori sono i danni arrecati all’agricoltura locale per le impedite esportazioni e così le patate nelle annate abbondanti hanno il prezzo di lire 4 al quintale, ne è facile esitarle perché il nolo supera il costo originario. Molto ne soffre anche l’allevamento del bestiame, del quale i prodotti maggiormente esportati sino i vitelli e i maiali grossi che debbono superare a piedi i novanta e i cento chilometri che ci separano dai luoghi di consumo, con grave scapito di peso e di qualità delle carni”.

Il Mussi scriveva anche che “si fa trasporto ma con fatica di castagne secche, carbone di legno, prodotti dei vimini, ghiande, pollerie, uova”.

Una situazione davvero pesante che tuttavia sottolinea l’importanza del bosco(castagne, carbone, ghiande ecc.) nella pur disastrata economia valtarese.

Fortunatamente sul piano nazionale il nuovo Regno, superate le ultime gravi epidemie di colera, assicurava migliori condizioni igienico-sanitarie, rendeva obbligatoria la vaccinazione, dava il via a grandi opere pubbliche. Sia pure in ritardo sugli altri Stati, l’Italia, specie al nord, viveva la sua piccola rivoluzione industriale. La popolazione era in aumento e tutto ciò trovava un insperato riscontro anche nell’economia silvo-pastorale della Valtaro.

Alcune ditte, quasi tutte forestiere, ottenevano appalti di boschi per ricavarne legna e carbone: non solo per riscaldamento delle abitazioni delle città situate nella pianura, ma anche per uso delle industrie, specie dei forni fusori lombardi.

Stagionalmente, poi, i boschi delle Comunalie ospitavano i così detti “Tornitori bergamaschi”: sotto questo nome si celavano diverse famiglie che ogni anno, in autunno, acquistavano un certo numero di faggi secolari che venivano abbattuti e lavorati sul posto in baracche provvisorie, per ricavarne con i torni piatti, tazze, bicchieri, posate e attrezzi vari.

Con i proventi fu così possibile costruire acquedotti, strade e altre opere per le quali i Comuni non erano in grado di provvedere.

Nel corso del decennio 1883-1893, durante il quale vennero intrapresi i lavori per la costruzione della ferrovia Parma-La Spezia, gran parte del legname necessario fu ricavato dai boschi delle Comunalie la cui sopravvivenza ha davvero del miracoloso ove si pensi al quantitativo ingente di “traversine” e al legname occorso per la puntellatura delle numerose gallerie, tra le quali va segnalata quella del Borgallo, lunga 7800 metri, che passava proprio sotto il territorio della comunalia di Valdena.

Ebbene si può ben dire che assai accorti siano stati gli amministratori delle Comunalie se al termine dell’opera il patrimonio boschivo non risultò esausto, ma fu anzi possibile sfruttare le già prevedibili potenzialità dell’ultimata ferrovia che finalmente metteva in contatto veloce e sicuro la Valtaro con le città e le industrie della pianura, da una parte, e il vicino Mar Ligure dall’altra.

A dire il vero l’ultimazione dei lavori di costruzione della ferrovia creò inizialmente una situazione di notevole disagio tra coloro, ed erano qualche migliaio, che vi avevano trovato lavoro per quasi un decennio. La chiusura dei cantieri aveva infatti lasciato senza lavoro un numero considerevole di manodopera che sarà costretta a trovare lavoro all’estero, dando così inizio ad un periodo di intensa emigrazione4.

Tuttavia l’avvento della ferrovia risolvendo l’atavico problema del collegamento con le città aveva rilanciato la produzione di carbone vegetale che aveva subito negli ultimi decenni un forte declino.

Infatti negli “Atti della Giunta Parlamentare per l’inchiesta Agraria del 1881” si può leggere che “…questo prodotto è caduto in deprezzamento, sì da non compensare le spese, stante la concorrenza del carbon fossile e per la cessata richiesta dei forni fusori lombardi, ora inviliti o per la maggior parte vinti dalla concorrenza della produzione inglese5.”

La relazione faceva riferimento alla situazione in atto nel 1881, ora invece numerose imprese forestiere, ma anche locali, avevano ripreso la loro attività di produzione sia di carbone che di legna da ardere.

Nel primo decennio del novecento si potevano notare alcuni segni concreti di un mutamento in atto. Si registrava un risveglio economico dovuto all’attivazione della ferrovia e alle rimesse degli emigrati. Prendevano nuovo e maggiore impulso le attività legate all’industria boschiva: centinaia di ettari di bosco(faggi e cerri specialmente) venivano convertiti in legna da ardere e da lavoro. Mentre le ramaglie, come già detto, alimentavano le carbonaie.

Le piante di castagno, invece, venivano utilizzate per l’estrazione del tannino e due volte la settimana dalla stazione di Borgotaro cominciarono a partire treni carichi delle caratteristiche “schiappe”(così venivano chiamate le parti che si ottenevano dalla spaccatura verticale del tronco in quattro parti) che raggiungevano uno stabilimento nella vicina Lunigiana6.

Queste attività, rese possibili dall’entrata in funzione della ferrovia, venivano condotte con metodi primitivi e richiedevano, pertanto, numerosa manodopera sia per il taglio manuale che avveniva unicamente con l’uso di grosse scuri, sia per il trasporto a mezzo di muli, oltre che per l’esercizio di teleferiche e per l’attività di custodia, accatastamento e carico.

Aumentavano, nel frattempo le ditte che si dedicavano all’esportazione: mirtilli, lamponi, bacche di ginepro, frutti di rosa canina, vimini prendevano la via dell’estero, in particolare verso la Confederazione Svizzera, ampliando così un’attività che in precedenza era limitata ai funghi.

Forse mai come negli anni che vanno dalla prima decade del novecento alla fine degli anni trenta, si riscontrò tanto fervore nei boschi delle Comunalie Valtaresi e mai come in quegli anni il bosco fu elemento fondamentale dell’economia dell’intera valle.

Tutte queste attività finivano tuttavia per arricchire poche persone, non certo i contadini della zona che venivano scarsamente retribuiti benché sottoposti a fatiche ed orari di lavoro inumani.

La raccolta dei prodotti del sottobosco veniva, in genere, effettuata da donne e bambini che dopo essersi impegnati per diverse ore nella raccolta dovevano poi scendere a valle percorrendo a piedi almeno una decina di chilometri per ricevere in cambio una vera elemosina.,

D’altra parte la bassa remunerazione del lavoro dei campi costringeva i contadini a ricercare ovunque anche modeste integrazioni al loro reddito.

Così se da una parte si riscontrava un notevole sviluppo economico, suffragato anche da dati statistici (vedi tabelle alle pagine che seguono), cui s’accompagnavano una maggior ricchezza ed una migliore qualità della vita, tuttavia ciò riguardava essenzialmente il fondovalle e in particolare il centro di Borgotaro, e toccava solo marginalmente gli addetti all’agricoltura.

Queste persone continuavano a vivere in case malsane, spesso nel piano posto sopra la stalla. Si trattava, in maggior parte, di piccoli proprietari che lavoravano fazzoletti di terra acquisiti attraverso una lunga catena di divisioni per successione dai quali non sempre riuscivano a ricavare il minimo per vivere, oppure di mezzadri che dovevano dividere(non ancora al 50%) con il proprietario il magro raccolto.

Scrive Luigi Rossi7: “…la gran maggioranza dei fondi, pur essendo diffusa la mezzadria, è però in mano di proprietari coltivatori diretti; lavoratori infaticabili e bonificatori incessanti[…]possessori di microscopici fondi, frazionati per di più in varie parti, e di una casetta ancor più microscopica e miserabile, essi fanno dell’agricoltura locale una agricoltura attiva, chiedendo alla terra quel pane che, con sistemi ormai superati, non potrà mai dare. Solo nel Comune di Borgotaro su 753 proprietari, 561 sono coltivatori diretti ”.

In tali condizioni non può destare meraviglia alcuna il fatto che i nostri contadini esercitassero quelle che venivano chiamate “industrie domestiche”. Infatti numerosi erano “i fabbricatori di bei cesti che si vendono in gran numero sul mercato di Borgo Val di Taro8 ”, mentre molti, specialmente nella Val Gotra e in Val Tarodine, costruivano remi, setacci, pale, mestoli, cucchiai e manici di faggio.

Tutti tendevano a produrre nel loro fondo la maggior parte di sussistenze occorrenti alla famiglia ed in questo trova giustificazione qualche pratica agraria non corretta, quale il non abbandono del mais e i ringrani.

Infatti nell’alimentazione della popolazione rurale prevalevano di gran lunga su ogni altro alimento i farinacei: pane di frumento, spesso misto, e pasta confezionata in casa. Impostante era poi l’uso del granturco che si consumava, in genere, sotto forma di polenta.

Larghissimo uso si faceva, lungo l’anno, anche di patate che venivano conservate da un raccolto all’altro. Di frutta se ne consumava poco o nulla, poiché i pochi meli e peri si tenevano soltanto per il vischio che, nel periodo natalizio, consentiva un qualche guadagno.

Sempre il Rossi riferisce che “Grandissimo consumo si fa di castagne secche sia come tali, sia cotte, sia ridotte in farina e quindi cucinate ad uso di polenta o di torte dolci. In certe plaghe dove i castagni danno altissimi prodotti, come ad esempio la Val Gotra e la Val Tarodine, si può ben dire che la castagna tenga nell’alimentazione umana, lo stesso posto del pane9 ”.

L’uso che si faceva della carne era ben al di sotto della norma. Si consumava principalmente quella di maiale, per la maggior parte confezionata in salumi di buon pregio, di produzione propria.

Largo uso si faceva di lardo e strutto di maiale con i quali si sopperiva alla relativa mancanza di burro dovuta al fatto che “…gran parte del poco latte disponibile vien consumata dal vitello,[…] e si confezionavano formaggi grassi, spesso misti a latte di pecora che poi vengono per la maggior parte destinati alla cucina domestica. Si confezionano pure formaggine di latte di pecora che, invasi dalle larve della Phiophila casei, divengono assi piccanti e sui mercati locali spuntano alti prezzi10 ”. Il riferimento è al “furmaju cui bèighi” detto anche “macu”.

Le uova, per antica consuetudine, rappresentavano un esclusivo guadagno della massaia. Venivano consumate in casa soltanto in occasione delle solennità, del resto vendute al mercato si trasformavano spesso in qualche pezzo d’abbigliamento o in qualche oggetto atto a soddisfare la vanità femminile.

Lo stesso vestiario, per quanto era possibile, veniva prodotto in famiglia.

Accanto alle maglie, alle calze, ai berretti ottenuti con la lavorazione della lana delle pecore, non erano pochi coloro che coltivavano un “canapaio” dal quale si ricavava la canapa che lavorata presso uno dei tanti mulini dotati di follo o gualcheria procurava il panno adatto a confezionare vestiti.

Questo periodo che terminerà negli anni dell’ultimo dopoguerra, si caratterizzerà per un arretramento dei boschi: in parte soggetti ad un taglio incontrollato e selvaggio, in parte a causa dei dissodamenti per conquistare qualche lembo di terreno coltivabile.

Anche sugli alpeggi, un poco per l’azione degli animali, un poco per opera dell’uomo, il bosco arretrerà per lasciar posto al pascolo o a qualche campo di patate o segala.

Il dopoguerra favorirà nuovamente una massiccia emigrazione alla quale poi si accompagnerà, negli anni dell’espansione industriale, il fenomeno dell’urbanesimo.

Migliaia di contadini abbandoneranno le loro case e le loro terre stanchi di una vita di stenti.

I boschi andranno via via perdendo la loro importanza economica man mano che il gas liquido prima, il metano e il gasolio poi, andranno a sostituire legna e carbone.

Legname da lavoro di miglior qualità e prezzo proveniente dall’estero, sostituirà quello dei boschi delle Comunalie.

Agli alpeggi salirà soltanto qualche anziano deciso a restar legato al suo passato. I boschi riconquisteranno il loro spazio a danno dei pascoli e dei coltivi.

Resteranno però silenziosi i mulini, gli essiccatoi, le case, i boschi, i villaggi d’altura. Nessuno produrrà cestini, setacci, remi. Anche le castagne, un tempo fondamentali nell’alimentazione, non verranno più raccolte.

Soltanto nella stagione dei funghi, prodotto tanto squisito quanto remunerativo, i boschi si rianimeranno.

Davvero troppo poco per una montagna che ancora nasconde valori e potenzialità.

Tabella n.1.

Movimento viaggiatori nelle principali stazioni ferroviarie del parmense(linea Parma-La Spezia) nel triennio 1907-08-09.


1907 1908 1909

Borgotaro 27.730 30.644 35.103

Collecchio 13.255 17.107 21.175

Fornovo Taro 23.480 27.911 32.565

(Fonte C.C.I.A. di Parma)


Tabella n.2

Movimento bestiame in partenza dalle principali stazioni ferroviarie del parmense(linea Parma-La Spezia) nel triennio 1907-08-09


Equini Bovini Suini-Ovini

1907 1908 1909 1907 1908 1909 1907 1908 1909

Borgotaro 52 48 41 * 221 2.300 * 1.409 1.855

Collecchio 1 5 9 * 72 117 * 623 656

Fornovo 2 11 102 * 298 428 * 308 463


Le statistiche del 1907 danno cumulativamente il numero dei capi bovini, ovini e suini.

In partenza da:

Borgotaro capi n. 5.003

Collecchio capi n. 989

Fornovo capi n. 798

(Fonte C.C.I.A. di Parma)


Tabella n.3

Ammontare dei depositi presso le filiali della Cassa di Risparmio di Fidenza, Busseto, Langhirano e Borgotaro.


Fidenza
Busseto
Langhirano
Borgotaro
1902
796.546
619.429
283.389
561.835
1903
766.942
603.760
295.887
632.922
1904
786.670
702.346
409.000
757.912
1905
895.984
773.847
425.000
813.540
1906
1.023.317
734.315
393.000
855.593
1907
1.155.290
884.980
503.846
873.807
1908
1.032.567
982.923
569.909
1.070.259
1909
1.199.045
1.028.694
653.963
1.217.465
1910
1.131.276
969.165
660.313
1.244.643

(Fonte: Saguatti, 1983)




Note

1- Gugliemo Power, irlandese, fu Governatore di Borgo Val di Taro dal 1749 al 1759.

2- Per Santa Caterina(23 novembre) la mucca alla cascina.

3- Rufino Mussi, Sulle condizioni agrarie del Circondario di Borgotaro, in Atti della Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma, Tip del Senato, 1881.

Vedi anche: L’ambiente rurale valtarese alla fine dell’ottocento, Associazione A. Emmanueli Borgotaro, Chiavari 2001.

4- “…la vera emigrazione cominciò dopo il 1860 ed assume larghe proporzioni dopo il 1895, quando ultimanti i lavori della ferrovia Parma-LaSpezia, che avevano richiesto e occupato tante braccia, la disoccupazione ricacciò nel bisogno la nuova massa operaia”. Francesco Marchini, Montanari all’estero, Quaderni della Giovane Montagna n.26, Parma, 1938.

5- Rufino Mussi, Sulle condizioni agrarie del Circondario di Borgotaro, in Atti della Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma, Tip del Senato, 1881.

Vedi anche: L’ambiente rurale valtarese alla fine dell’ottocento, Associazione A. Emmanueli Borgotaro, Chiavari 2001.

6- Nel 1929 la Ditta Ruggero Benelli di Prato aprirà a Borgotaro uno stabilimento per la produzione di estratto tannico.

7- Raffaele Rossi, Problemi economici della Val di Taro, Parma, 1928.

8- Raffaele Rossi, Op. cit.

9- Raffaele Rossi, Op. Cit.

10- Raffaele Rossi, Op. Cit. .



Autore creata ultima modifica
Giacomo Bernardi 23/2/04 2/5/08

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