ASPETTI
SOCIO-ECONOMICI
Le condizioni naturali sono alla base della
organizzazione insediativo -territoriale della Valtaro, tuttavia nel tempo a
queste si sono aggiunte, e in molti casi sovrapposte, particolari condizioni di
carattere sociale ed economico che hanno finito per determinare profondi
cambiamenti anche sul piano degli insediamenti e dello stesso paesaggio
agrario.
I diversi modi di sfruttamento
delle risorse del bosco, l’evoluzione delle tecniche agrarie, l’emigrazione e le
consistenti rimesse dall’estero, il recente fenomeno dell’abbandono della
montagna, per citarne alcune, sono variabili che hanno contribuito a determinare
conseguenti cambiamenti.
Nel corso del medioevo avanzato,
superati i secoli caratterizzati da guerre, carestie ed epidemie, le popolazioni
riacquistavano fiducia, le città si rivitalizzavano, si riorganizzavano, si
espandevano.
Al contado spettava il non facile
compito di far fronte ai bisogni alimentari sorti in conseguenza dell’aumento
demografico delle città.
Anche in Valtaro le popolazioni
furono così indotte alla conquista di ogni possibile palmo di terra alle selve
che un tempo dovevano giungere a lambire il corso del fiume Taro.
La scarsità di aree pianeggianti
dovette infatti spingere verso l’alto gli uomini e intorno ai primi decenni del
nuovo millennio si andarono formando, e in qualche caso consolidando, gli
abitati rurali per la maggior parte corrispondenti agli odierni agglomerati di
Costerbosa, Valdena, Camminata di San Vincenzo, Costatasi, Ca’ di Grossi, Buzzò,
Mamponeto, Groppo. Ai quali in processo di tempo altri se ne aggiunsero.
Essi erano collocati ad
altitudini comprese tra i 500 e 650 metri, lungo una linea tuttora visibile, che
quasi veniva a dividere la parte coltivata che stava al di sotto(di proprietà
individuale), da quella a bosco(di proprietà comune) che si estendeva
immediatamente a monte.
Per secoli i beni comuni vennero
goduti dai frazionisti a titolo puramente individuale, nel senso che le singole
persone vi trovarono un tornaconto nell’uso del diritto di legnatico e
pascolo.
Unica forma diversa di
sfruttamento documentata fu quella della vendita alla Repubblica Genovese di
legname per costruzione di navi e remi, anche se sconosciuti ci sono i risvolti
economici dell’operazione e non sappiamo se, e in qual modo, i frazionisti ne
ricevettero vantaggio.
In una zona a quasi esclusiva economia agricola che per la
distanza dalla pianura e dalle città doveva trovare in loco il modo di risolvere
i problemi della propria sussistenza, divenne ben presto importante lo
sfruttamento delle proprietà comuni al fine di integrare il reddito agrario che
doveva essere di poco conto ove si considerino l’esiguità delle terre
coltivabili e la natura sassosa e scoscesa delle stesse.
Così in Valtaro si cominciarono
ad usare gli alti pascoli in modo meno saltuario ed episodico e a conquistare
alcuni siti di altura per coltivazioni particolari: avena, segala e poi patate,
qui introdotte e coltivate fin dal 1545, per merito del Colonnello Guglielmo
Power, Governatore di Borgotaro.1
Si crearono così, quasi in ogni
frazione, dei caratteristici insediamenti stagionali d’altura composti di
numerose caselle in pietra a secco con copertura in paglia di segala,
somiglianti forse a quelle degli antichi Liguri.
Qui le famiglie risiedevano
dall’inizio dell’estate fino ai primi freddi, di solito il 23 novembre, come
dice un antico proverbio: “P’r Santa
Catrèina la vaca a la casèina2 ”: si faceva
legna, si pascolavano le bestie, si raccoglievano funghi e altri prodotti del
sottobosco, si lavorava il latte ottenendone burro e formaggio, si coltivavano
farro, spelta, avena, segala e patate.
I pascoli naturali permettevano
il mantenimento di un buon numero di animali, senza per questo destinare a prato
i terreni posti più a valle, vicini alle abitazioni, che venivano così
utilizzati unicamente per cereali od altro.
Tra questi nuclei di caselle,
tuttora presenti anche se ormai poco abitati, si possono ricordare: Vighini(850
m), per quei di Pontolo; Valvenera(960 m) per quei di Valdena; Nola(1080 m) per
quei di Rovinaglia e Lago Pavé(1020) per quei di Buzzò.
L’esistenza di tali nuclei è
documentata fin dal secolo XVI. Tra la documentazione relativa alla già
ricordata vicenda delle liti accadute nel corso del XVII secolo, per la
risoluzione della quale venne richiesto l’arbitrato della Repubblica di Venezia,
esistono disegni che fissano la posizione di queste caselle ed anche le loro
caratteristiche architettoniche. Particolare quest’ultimo assai importante ove
si volesse, come sarebbe auspicabile, ricostruire, riattare tali villaggi
stagionali situati in posizioni di particolare interesse paesaggistico.
Con l’avvento del Regno d’Italia,
e la conseguente nuova regolamentazione, le singole Comunalie della Valtaro
venivano amministrate da apposite Commissioni i cui membri erano annualmente
eletti a scrutinio segreto, dai Consigli Comunali competenti.
In un’epoca in cui l’elettorato
attivo dei Comuni di Borgotaro e Albareto superava di poco il centinaio di
iscritti, e alle cariche comunali si succedevano quasi sempre le stesse persone,
fu di grande importanza la nomina di queste Commissioni Amministratrici che se
da una parte assicuravano un più corretto utilizzo della proprietà, dall’altra
abituavano i frazionisti all’impegno civico, alla democrazia partecipata.
Si deve forse a questo impegno,
nel quale finiva pian piano per essere coinvolta buona parte degli uomini della
frazione, se cominciò a farsi strada, sia pure lentamente, una “coscienza di
frazione” che alle esigenze ed agli interessi individuali seppe affiancare anche
quelli dell’intera collettività.
Verso la fine dell’ottocento,
allorché vennero approvate le prime leggi riguardanti l’istruzione obbligatoria,
molte frazioni avranno il privilegio della presenza sul posto di una scuola
proprio perché la “comunalia” del luogo si sarà addossata la spesa del locale,
del riscaldamento e, a volte, anche del contributo nella spesa per i maestri che
allora erano nominati e pagati dai Comuni.
Tuttavia nella seconda metà
dell’ottocento, l’attività agricola su cui si basava l’economia della zona, non
presentava miglioramenti di sorta, ferma com’era a tecniche colturali molto
arretrate. Accanto a queste coesistevano, e si evidenzieranno sempre più in
seguito, la bassa remunerazione del lavoro, la carenza di capitali, le
insufficienti condizioni di commercializzazione, la scarsa iniziativa
imprenditoriale.
L’intera valle era inoltre
isolata, priva com’era di una viabilità decente in grado di metterla in contatto
con il vicino Mar Ligure e con Parma. Così qualsiasi prodotto agricolo, del
bosco o del sottobosco non poteva trovare sfogo alcuno in altri mercati.
Scriveva Rufino Mussi3: “Il lato
più infelice di questo Circondario è la viabilità nella quale è paragonabile
alle più derelitte e sconosciute zone della Basilicata. Questo Circondario[…] fu
lasciato dai cessati governi segregato[…]non avendo mai posseduto, in tanta
estensione di territorio, una sola strada carrozzabile. Tutti i trasporti si
operano perciò a schiena di mulo”.
E ancora: “Il prezzo di
trasporto a tonnellate dei prodotti è al minimo di lire 40 da Borgotaro a
Spezia. Questo prezzo supera i noli dall’America all’Europa. Maggiori sono i
danni arrecati all’agricoltura locale per le impedite esportazioni e così le
patate nelle annate abbondanti hanno il prezzo di lire 4 al quintale, ne è
facile esitarle perché il nolo supera il costo originario. Molto ne soffre anche
l’allevamento del bestiame, del quale i prodotti maggiormente esportati sino i
vitelli e i maiali grossi che debbono superare
a piedi i novanta e i cento chilometri che ci separano dai luoghi di
consumo, con grave scapito di peso e di qualità delle carni”.
Il Mussi scriveva anche che
“si fa trasporto ma con fatica di castagne secche, carbone di legno, prodotti
dei vimini, ghiande, pollerie, uova”.
Una situazione davvero pesante
che tuttavia sottolinea l’importanza del bosco(castagne, carbone, ghiande ecc.)
nella pur disastrata economia valtarese.
Fortunatamente sul piano
nazionale il nuovo Regno, superate le ultime gravi epidemie di colera,
assicurava migliori condizioni igienico-sanitarie, rendeva obbligatoria la
vaccinazione, dava il via a grandi opere pubbliche. Sia pure in ritardo sugli
altri Stati, l’Italia, specie al nord, viveva la sua piccola rivoluzione
industriale. La popolazione era in aumento e tutto ciò trovava un insperato
riscontro anche nell’economia silvo-pastorale della Valtaro.
Alcune ditte, quasi tutte
forestiere, ottenevano appalti di boschi per ricavarne legna e carbone: non solo
per riscaldamento delle abitazioni delle città situate nella pianura, ma anche
per uso delle industrie, specie dei forni fusori lombardi.
Stagionalmente, poi, i boschi
delle Comunalie ospitavano i così detti “Tornitori bergamaschi”: sotto questo
nome si celavano diverse famiglie che ogni anno, in autunno, acquistavano un
certo numero di faggi secolari che venivano abbattuti e lavorati sul posto in
baracche provvisorie, per ricavarne con i torni piatti, tazze, bicchieri, posate
e attrezzi vari.
Con i proventi fu così possibile
costruire acquedotti, strade e altre opere per le quali i Comuni non erano in
grado di provvedere.
Nel corso del decennio 1883-1893,
durante il quale vennero intrapresi i lavori per la costruzione della ferrovia
Parma-La Spezia, gran parte del legname necessario fu ricavato dai boschi delle
Comunalie la cui sopravvivenza ha davvero del miracoloso ove si pensi al
quantitativo ingente di “traversine” e al legname occorso per la puntellatura
delle numerose gallerie, tra le quali va segnalata quella del Borgallo, lunga
7800 metri, che passava proprio sotto il territorio della comunalia di
Valdena.
Ebbene si può ben dire che assai
accorti siano stati gli amministratori delle Comunalie se al termine dell’opera
il patrimonio boschivo non risultò esausto, ma fu anzi possibile sfruttare le
già prevedibili potenzialità dell’ultimata ferrovia che finalmente metteva in
contatto veloce e sicuro la Valtaro con le città e le industrie della pianura,
da una parte, e il vicino Mar Ligure dall’altra.
A dire il vero l’ultimazione dei
lavori di costruzione della ferrovia creò inizialmente una situazione di
notevole disagio tra coloro, ed erano qualche migliaio, che vi avevano trovato
lavoro per quasi un decennio. La chiusura dei cantieri aveva infatti lasciato
senza lavoro un numero considerevole di manodopera che sarà costretta a trovare
lavoro all’estero, dando così inizio ad un periodo di intensa
emigrazione4.
Tuttavia l’avvento della ferrovia risolvendo l’atavico
problema del collegamento con le città aveva rilanciato la produzione di carbone
vegetale che aveva subito negli ultimi decenni un forte declino.
Infatti negli “Atti della Giunta
Parlamentare per l’inchiesta Agraria del 1881” si può leggere che “…questo
prodotto è caduto in deprezzamento, sì da non compensare le spese, stante la
concorrenza del carbon fossile e per la cessata richiesta dei forni fusori
lombardi, ora inviliti o per la maggior parte vinti dalla concorrenza della
produzione inglese5.”
La relazione faceva riferimento
alla situazione in atto nel 1881, ora
invece numerose imprese forestiere, ma anche locali, avevano ripreso la loro
attività di produzione sia di carbone che di legna da ardere.
Nel primo decennio del novecento
si potevano notare alcuni segni concreti di un mutamento in atto. Si registrava
un risveglio economico dovuto all’attivazione della ferrovia e alle rimesse
degli emigrati. Prendevano nuovo e maggiore impulso le attività legate
all’industria boschiva: centinaia di ettari di bosco(faggi e cerri specialmente)
venivano convertiti in legna da ardere e da lavoro. Mentre le ramaglie, come già
detto, alimentavano le carbonaie.
Le piante di castagno, invece,
venivano utilizzate per l’estrazione del tannino e due volte la settimana dalla
stazione di Borgotaro cominciarono a partire treni carichi delle caratteristiche
“schiappe”(così venivano chiamate le parti che si ottenevano dalla spaccatura
verticale del tronco in quattro parti) che raggiungevano uno stabilimento nella
vicina Lunigiana6.
Queste attività, rese possibili
dall’entrata in funzione della ferrovia, venivano condotte con metodi primitivi
e richiedevano, pertanto, numerosa manodopera sia per il taglio manuale che
avveniva unicamente con l’uso di grosse scuri, sia per il trasporto a mezzo di
muli, oltre che per l’esercizio di teleferiche e per l’attività di custodia,
accatastamento e carico.
Aumentavano, nel frattempo le
ditte che si dedicavano all’esportazione: mirtilli, lamponi, bacche di ginepro,
frutti di rosa canina, vimini prendevano la via dell’estero, in particolare
verso la Confederazione Svizzera, ampliando così un’attività che in precedenza
era limitata ai funghi.
Forse mai come negli anni che vanno dalla prima decade del
novecento alla fine degli anni trenta, si riscontrò tanto fervore nei boschi
delle Comunalie Valtaresi e mai come in quegli anni il bosco fu elemento
fondamentale dell’economia dell’intera valle.
Tutte queste attività finivano
tuttavia per arricchire poche persone, non certo i contadini della zona che
venivano scarsamente retribuiti benché sottoposti a fatiche ed orari di lavoro
inumani.
La raccolta dei prodotti del
sottobosco veniva, in genere, effettuata
da donne e bambini che dopo essersi impegnati per diverse ore nella
raccolta dovevano poi scendere a valle percorrendo a piedi almeno una decina di
chilometri per ricevere in cambio una vera elemosina.,
D’altra parte la bassa
remunerazione del lavoro dei campi costringeva i contadini a ricercare ovunque
anche modeste integrazioni al loro reddito.
Così se da una parte si
riscontrava un notevole sviluppo economico, suffragato anche da dati statistici
(vedi tabelle alle pagine che seguono), cui s’accompagnavano una maggior
ricchezza ed una migliore qualità della vita, tuttavia ciò riguardava
essenzialmente il fondovalle e in particolare il centro di Borgotaro, e toccava
solo marginalmente gli addetti all’agricoltura.
Queste persone continuavano a vivere in case malsane,
spesso nel piano posto sopra la stalla. Si trattava, in maggior parte, di
piccoli proprietari che lavoravano fazzoletti di terra acquisiti attraverso una
lunga catena di divisioni per successione dai quali non sempre riuscivano a
ricavare il minimo per vivere, oppure di mezzadri che dovevano
dividere(non ancora al 50%) con il proprietario il magro raccolto.
Scrive Luigi Rossi7: “…la gran
maggioranza dei fondi, pur essendo diffusa la mezzadria, è però in mano di
proprietari coltivatori diretti; lavoratori infaticabili e bonificatori
incessanti[…]possessori di microscopici fondi, frazionati per di più in varie
parti, e di una casetta ancor più microscopica e miserabile, essi fanno
dell’agricoltura locale una agricoltura attiva, chiedendo alla terra quel pane
che, con sistemi ormai superati, non potrà mai dare. Solo nel Comune di
Borgotaro su 753 proprietari, 561 sono coltivatori diretti ”.
In tali condizioni non può destare meraviglia alcuna il
fatto che i nostri contadini esercitassero quelle che venivano chiamate
“industrie domestiche”. Infatti numerosi erano “i fabbricatori di bei cesti
che si vendono in gran numero sul mercato di Borgo Val di Taro8 ”, mentre
molti, specialmente nella Val Gotra e in Val Tarodine, costruivano remi,
setacci, pale, mestoli, cucchiai e manici di faggio.
Tutti tendevano a produrre nel loro fondo la maggior parte
di sussistenze occorrenti alla famiglia ed in questo trova giustificazione
qualche pratica agraria non corretta, quale il non abbandono del mais e i
ringrani.
Infatti nell’alimentazione della popolazione rurale
prevalevano di gran lunga su ogni altro alimento i farinacei: pane di frumento,
spesso misto, e pasta confezionata in casa. Impostante era poi l’uso del
granturco che si consumava, in genere, sotto forma di polenta.
Larghissimo uso si faceva, lungo l’anno, anche di patate
che venivano conservate da un raccolto all’altro. Di frutta se ne consumava poco
o nulla, poiché i pochi meli e peri si tenevano soltanto per il vischio che, nel
periodo natalizio, consentiva un qualche guadagno.
Sempre il Rossi riferisce che “Grandissimo consumo si fa
di castagne secche sia come tali, sia cotte, sia ridotte in farina e quindi
cucinate ad uso di polenta o di torte dolci. In certe plaghe dove i castagni
danno altissimi prodotti, come ad esempio la Val Gotra e la Val Tarodine, si può
ben dire che la castagna tenga nell’alimentazione umana, lo stesso posto del
pane9
”.
L’uso che si faceva della carne era ben al di sotto della
norma. Si consumava principalmente quella di maiale, per la maggior parte
confezionata in salumi di buon pregio, di produzione propria.
Largo uso si faceva di lardo e strutto di maiale con i
quali si sopperiva alla relativa mancanza di burro dovuta al fatto che “…gran
parte del poco latte disponibile vien consumata dal vitello,[…] e si
confezionavano formaggi grassi, spesso misti a latte di pecora che poi vengono
per la maggior parte destinati alla cucina domestica. Si confezionano pure
formaggine di latte di pecora che, invasi dalle larve della Phiophila casei,
divengono assi piccanti e sui mercati locali spuntano alti prezzi10 ”. Il riferimento è al
“furmaju cui bèighi” detto anche “macu”.
Le uova, per antica consuetudine, rappresentavano un
esclusivo guadagno della massaia. Venivano consumate in casa soltanto in
occasione delle solennità, del resto vendute al mercato si trasformavano spesso
in qualche pezzo d’abbigliamento o in qualche oggetto atto a soddisfare la
vanità femminile.
Lo stesso vestiario, per quanto era possibile, veniva
prodotto in famiglia.
Accanto alle maglie, alle calze, ai berretti ottenuti con
la lavorazione della lana delle pecore, non erano pochi coloro che coltivavano
un “canapaio” dal quale si ricavava la canapa che lavorata presso uno dei tanti
mulini dotati di follo o gualcheria procurava il panno adatto a confezionare
vestiti.
Questo periodo che terminerà negli anni dell’ultimo
dopoguerra, si caratterizzerà per un arretramento dei boschi: in parte soggetti
ad un taglio incontrollato e selvaggio, in parte a causa dei dissodamenti per
conquistare qualche lembo di terreno coltivabile.
Anche sugli alpeggi, un poco per l’azione degli animali, un
poco per opera dell’uomo, il bosco arretrerà per lasciar posto al pascolo o a
qualche campo di patate o segala.
Il dopoguerra favorirà nuovamente una massiccia emigrazione
alla quale poi si accompagnerà, negli anni dell’espansione industriale, il
fenomeno dell’urbanesimo.
Migliaia di contadini abbandoneranno le loro case e le loro
terre stanchi di una vita di stenti.
I boschi andranno via via perdendo la loro importanza
economica man mano che il gas liquido prima, il metano e il gasolio poi,
andranno a sostituire legna e carbone.
Legname da lavoro di miglior qualità e prezzo proveniente
dall’estero, sostituirà quello dei boschi delle Comunalie.
Agli alpeggi salirà soltanto qualche anziano deciso a
restar legato al suo passato. I boschi riconquisteranno il loro spazio a danno
dei pascoli e dei coltivi.
Resteranno però silenziosi i mulini, gli essiccatoi, le
case, i boschi, i villaggi d’altura. Nessuno produrrà cestini, setacci, remi.
Anche le castagne, un tempo fondamentali nell’alimentazione, non verranno più
raccolte.
Soltanto nella stagione dei funghi, prodotto tanto squisito
quanto remunerativo, i boschi si rianimeranno.
Davvero troppo poco per una montagna che ancora nasconde
valori e potenzialità.
Movimento viaggiatori nelle principali stazioni ferroviarie
del parmense(linea Parma-La Spezia) nel triennio 1907-08-09.
1907 1908 1909
Borgotaro 27.730 30.644 35.103
Tabella n.2
Movimento bestiame in partenza dalle principali stazioni
ferroviarie del parmense(linea Parma-La Spezia) nel triennio 1907-08-09
Equini Bovini Suini-Ovini
1907 1908
1909 1907
1908 1909 1907
1908 1909
Borgotaro 52 48
41 * 221
2.300 * 1.409 1.855
Collecchio 1
5 9 * 72 117 * 623 656
Fornovo 2
11 102 * 298 428 * 308 463
Le statistiche del 1907 danno cumulativamente il numero dei
capi bovini, ovini e suini.
In partenza da:
Borgotaro
capi n. 5.003
Collecchio
capi n. 989
Fornovo
capi n. 798
Tabella n.3
Fidenza
|
Busseto
|
Langhirano
|
Borgotaro
| |
1902
|
796.546
|
619.429
|
283.389
|
561.835
|
1903
|
766.942
|
603.760
|
295.887
|
632.922
|
1904
|
786.670
|
702.346
|
409.000
|
757.912
|
1905
|
895.984
|
773.847
|
425.000
|
813.540
|
1906
|
1.023.317
|
734.315
|
393.000
|
855.593
|
1907
|
1.155.290
|
884.980
|
503.846
|
873.807
|
1908
|
1.032.567
|
982.923
|
569.909
|
1.070.259
|
1909
|
1.199.045
|
1.028.694
|
653.963
|
1.217.465
|
1910
|
1.131.276
|
969.165
|
660.313
|
1.244.643
|
Note
2- Per Santa
Caterina(23 novembre) la mucca alla cascina.
3- Rufino Mussi,
Sulle condizioni agrarie del Circondario di Borgotaro, in Atti della
Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola,
Roma, Tip del Senato, 1881.
Vedi anche: L’ambiente rurale valtarese alla fine
dell’ottocento, Associazione A.
Emmanueli Borgotaro, Chiavari 2001.
4- “…la vera
emigrazione cominciò dopo il 1860 ed assume larghe proporzioni dopo il 1895,
quando ultimanti i lavori della ferrovia Parma-LaSpezia, che avevano richiesto e
occupato tante braccia, la disoccupazione ricacciò nel bisogno la nuova massa
operaia”. Francesco Marchini, Montanari all’estero, Quaderni della
Giovane Montagna n.26, Parma, 1938.
5- Rufino Mussi,
Sulle condizioni agrarie del Circondario di Borgotaro, in Atti della
Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola,
Roma, Tip del Senato, 1881.
Vedi anche: L’ambiente rurale valtarese alla fine
dell’ottocento, Associazione A. Emmanueli Borgotaro, Chiavari 2001.
6- Nel 1929 la
Ditta Ruggero Benelli di Prato aprirà a Borgotaro uno stabilimento per la
produzione di estratto tannico.
7- Raffaele Rossi,
Problemi economici della Val di Taro, Parma, 1928.
8- Raffaele Rossi,
Op. cit.
9- Raffaele Rossi,
Op. Cit.
10- Raffaele Rossi, Op. Cit. .
Autore | creata | ultima modifica |
Giacomo Bernardi | 23/2/04 | 2/5/08 |
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