Le Cento Croci
…dove
si ritrovava un corpo morto si piantava una croce et tanto era il
numero di croci che si diceva delle cento croci
e così venne a cambiare il suo primo nome di Lamba in Cento Croci.
Antonio Cesena (1558)
La strada che
passava sul monte Lamba e che univa Borgotaro a Varese Ligure era
ritenuta una delle più pericolose, benché fosse di grande
importanza, come quella che permetteva alle popolazioni gli scambi
dei prodotti della marittima (olio, pesce, sale, tabacco, polvere
da sparo, vino) con quelli della nostra montagna (castagne,
farine, insaccati, funghi).
Le cronache antiche
parlano del passo come di “loco horribile, selvaggio et
oscuro” , dove molti vi morivano per mano d’assassini, ma
anche perché “soffocati dalle gran nevi”, dai venti e
da “freddi et horridi tempi”.
Così sul passo, e
tutt’intorno, vi era una moltitudine di croci perché la pietà
dei buoni garantiva ai cadaveri una fossa e una semplice croce. Fu
così che la gente cominciò a chiamare Centocroci quel passo,
fino alla totale scomparsa del vecchio nome che, come abbiano
detto, era Lamba.
Troppo era
importante questa via per non provvedere alla sua sicurezza, così
quei di Varese e di Valtaro decisero di costruire sul passo un
“hospitio” che avrebbe assicurato una maggior
protezione ai viandanti, ai pellegrini e ai mercanti che vi
passavano.
Lo
intitolarono a San Michele e ne presero possesso dei bravi monaci
che resero più sicuro il passaggio, soccorrendo gli sperduti per
nebbie e nevi, curandone altri affaticati e stanchi, altri ancora,
colpiti da mali o incidenti, venivano ospitati amorevolmente.
Così il luogo
divenne famoso, “frequentato e visitato da molte persone con
larghissime limosine” e riferimento sicuro per tanti
viandanti.
Non si sa quando, né
come, accadde che dei falsi frati prendessero un bel giorno il
possesso dell’hospitio di San Michele e il loro capo, non
si sa se frate o meno, che si faceva comunque chiamare Padre
Monaco, mise in atto “una cosa rea e scelleratissima”
per arricchirsi.
Così, avendo “il
diavolo per consigliero”, fece di quel luogo fino ad allora
testimone di bene, un luogo infame e di morte.
Questo “indiavolato
huomo” fece scavare un pozzo profondo a mezzo miglio
dall’hospitio, dopo di che, ogni volta che doveva
soccorrere, curare od ospitare qualche viandante che gli pareva
“huomo da denari”, con l’aiuto dei suoi, lo faceva
svenare e poi, dopo averlo spogliato di tutto, faceva gettare i
corpi “nell’horribil pozzo”.
Scrive il cronista
che non “possendo il divino giudicio d’Iddio comportare una
così horribil cosa”, permise che il grave fatto venisse
alla fine scoperto.
Gli uomini del monte
erano soliti tenere dei cani mastini per difendere i loro bestiami
dalle fiere che un tempo infestavano i nostri monti. E per la
verità in quei tempi i lupi erano talmente audaci e ingordi che
spesso attaccavano gli uomini, “con tanto spavento di tutti
che anco gli uomini arditi e valorosi non si attentavano andare né
soli, né senza armi”.
I cani mastini,
assai numerosi, partendo dai casolari sparsi intorno alle
Centocroci, abbandonavano spesso i loro greggi e a schiere si
portavano sulla bocca “del fetente pozzo”, e vi
sostavano per ore “urlando a gara; né si sa se fussero ivi
tratti dal giudicio di Dio, o dal fetore de putridi corpi” .
I pastori, vedendo i
cani abbandonare le greggi, non sapevano spiegarsi come mai
tradissero, inaspettatamente, la loro ben nota fedeltà dimostrata
negli anni.
Così un giorno tre
o quattro di loro decisero di seguire un gruppo di cani attraverso
prati e boschi fino a giungere, dopo lungo cammino, sopra il pozzo
ch’era attorniato da una schiera di cani ululanti. Visto
quell’orribile spettacolo, attoniti e smarriti, non sapendo
quale decisione prendere, pensarono bene di avvisare, prima di
tutto, i monaci del vicino Hospitio.
Padre Monaco
mostrò grande sorpresa e meraviglia. Si dichiarò disgustato;
alzò al Cielo preghiere affinché il Signore facesse giustizia di
tanto obbrobrio; chiamò in causa San Michele Arcangelo, lui che
viene sempre rappresentato con la spada e che aveva fama di severo
vendicatore.
Invitò i pastori a
recarsi dalle competenti autorità che avrebbero provveduto a
ricercare i colpevoli.
“Noi”,
aggiunse Padre Monaco, “non faremo mancare le nostre
preghiere”.
I pastori tornarono
in valle e nella notte gli assassini, dismessi i loro abiti da
religiosi, se ne filarono via con tutta la refurtiva e i tesori
accumulati, né più fu possibile trovare le loro tracce.
“E così venne questo luoco tanto infame che
niuno si ritrovò che volesse abitarlo”
|
Testo di Giacomo Bernardi.
Illustrazione di Mario Previ
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