
Nella storia del calcio
borgotarese vi è più di una leggenda. Ma non v’è dubbio che,
tra le tante, quella legata alla figura di Johnny Dorà sia la
più ricordata.
Dorà era per natura un fantasista, nel senso
che gli riuscivano le cose più difficili.
Giocoliere nato,
sapeva far sparire monete, destar meraviglie al biliardo, giocare
scherzi indimenticabili.
Queste doti lo resero anche un grande
giocatore di calcio. Alto, segaligno, nei suoi lunghi soggiorni
in Scozia aveva imparato il gioco del foot-ball riuscendo a
innestare nella sua fantasia tutta latina, la solidità e la
concretezza dello stile britannico.
Ben presto la fama di
questo brillante giocatore borgotarese giunse all’orecchio dei
dirigenti del Parma tanto che, nel 1925, decisero di chiamarlo
per farlo giocare in una partita di Coppa.
Allora era
possibile rafforzare la squadra con elementi provenienti da
squadre minori. Dorà accettò soltanto dietro pressione degli
amici che desideravano vederlo impegnato, come meritava, in una
grande squadra, tanto che i dirigenti parmensi per convincerlo
gli promisero anche un orologio d’oro.
Nel corso della prima
partita contro una squadra austriaca, Dorà si presentò in campo
con i mutandoni all’inglese, sollevando sarcasmo tra i tifosi
parmensi che non mancarono di riprenderlo con il fatidico e poco
originale grido: “
montan”.
Ma non sapevano d’aver
a che fare con un tipo per nulla disposto ad accettare insulti.
Così, in modo polemico, Dorà rispose con una specie di sciopero
bianco: svirgolava palloni a bella posta, ogni tanto si
estraniava dalla partita disinteressandosi degli avversari.
Al
termine del primo tempo il Parma era sotto di un gol e
nell’intervallo gli amici borgotaresi lo avevano avvicinato
invitandolo a reagire in altro modo, a far vedere cosa sapesse
fare. Erano stufi dei commenti pesanti dei parmigiani.
Riprendeva
la partita. Dorà sembrava trasformato. Dopo dieci minuti si
impossessava della palla nella sua metà campo, superava di fila
quattro avversari, entrava in area a lunghe falcate, superava
anche il portiere che gli era andato incontro, e giunto sulla
linea bianca della porta ormai sguarnita, mentre gli applausi
scrosciavano, si fermava.
Sarebbe bastata una spinta alla
palla per pareggiare, ma Dorà stava meditando la sua vendetta.
Lasciava la palla sulla linea bianca, si voltava e si avviava
tranquillamente verso gli spogliatoi. I parmigiani non sapevano
come reagire: chi imprecava, chi applaudiva, chi lo giustificava,
chi lo fischiava. Tra lo sbigottimento generale, Dorà e
compagni, poco dopo, se la svignavano dallo stadio.
Ma non è
tutto: infatti in Piazza Garibaldi i parmigiani potevano ancora
godersi lo spettacolo di alcuni giovanotti che allegramente
prendevano a pedate un orologio d’oro che rotolava da un piede
all’altro, per finire poi con un ultimo calcio del campione nel
greto del Parma.
Qualche tempo dopo, mentre sui giornali si
parlava dell’interessamento del Bologna e dell’Inter, Dorà
se ne tornava in Scozia.
La sua leggenda era ormai stata
scritta.
Nessun commento:
Posta un commento